Pubblicata in data : 15/10/2004
Periodo storico : 1900 -
Nel corso di questo secolo ci sono state persone a Badolato che, pur senza essere in guerra, hanno duramente e in parte clandestinamente combattuto per la libertà, nell'accezione più comune del termine, e nel senso in cui loro la intendevano. Più volte abbiamo avuto modo di scriverne, sommariamente, anche da queste colonne. Questi Badolatesi vengono oggi considerati da taluni combattenti dalla parte sbagliata, seppur ritenuti combattenti, e non, invece, più semplicemente comunisti, o più stigmaticamente sovversivi, nella pregnanza dell'accezione che di solito si attribuisce al termine. Altri li considerano ancora oggi, se non proprio degli eroi, sicuramente dei protagonisti delle lotte per il riscatto del popolo dalla schiavitù imperante per circa un quarto di secolo, Alcuni di questi sovversivi-eroi sono ancora tra noi, ma la maggior parte se n'è andata alla spicciolata nel mondo dei più. Nel passato, quando erano ancora tutti sulla scena, costituivano argomento di preoccupazione e di lavoro per polizia, carabinieri, magistrati e politici vari. Oggi deve pensar loro lo storico -l'abbiamo scritto altra volta- prima che di essi s'impossessi definitivamente l'oblio. Noi vogliamo qui scrivere, questa volta, di uno di loro. In particolare, di quanto occorso in un preciso momento della vita a uno di loro, a uno dei più accaniti sostenitori della loro lotta politica.
Vincenzo Paparo (Badolato, 1899-1988), se all'età di tredici anni non avesse perso la funzionalità dell'occhio sinistro a causa di un incidente di caccia, e non fosse quindi stato costretto ad abbandonare progressivamente la bottega che frequentava, sarebbe forse diventato un valente falegname in quanto discepolo di quell'artista del legno che fu Mastro Antonio Gallelli, detto Picu. Del quale, però, assimilò sicuramente buona parte delle idee politiche: tutt'e due, difatti, li troviamo, insieme ai fratelli Corea e ad altri, tra i fondatori del Partito Coniunista a Badolato. E tra i sovversivi comunisti che si riunivano in clandestinità per leggere Marx e per studiare come combattere il regime; e ancora tra le persone che, con motivazioni anche banali e persino costruite ad arte, venivano arrestate anche a scopo prudenziale, quando si voleva evitare il pericolo di disordini in occasione di visite in paese di personalità del mondo istituzionale e politico.
Ancora giovanotto, non più apprendista falegname, si diede all'acquisto di olio d'oliva, per conto di Francesco Bruno, zio materno. Gli era forse più facile, così, esternare tra la gente, cautamente ma non troppo, le idee politiche di accanito oppositore al Fascismo e alla prepotenza delle Istituzioni. Al punto da finire ben 33 volte in galera, e non sempre per un solo giorno o due a scopo prudenziale. L'ultima volta, in occasione dello sciopero detto al rovescio, nell'autunno del 1950 -siamo quindi in pieno periodo repubblicano-, ci rimase ben 74 giorni. Certo, era una persona scomoda, spesso, anzi molto scomoda, per il potere costituito e non costituito: veniva spesso indicato in paese come l'avvocato dei poveri. Qualche volta anche con ironia, da chi con i poveri non aveva nulla da spartire.
Nel 1923 Vincenzo Paparo aveva già ventiquattro anni, e acquistava olio anche nei paesi vicini. Fu così che un giorno arrivò pure a Santa Caterina (Superiore: la Marina non c'era ancora). Fece parcheggiare il carro (con i buoi), al "Chjanu 'e San Bastiànu", ed ebbe inizio il trasporto dell'olio, dai magazzini del palazzo del marchese Di Francia ai bidoni di ferro posti sul carro, mediante otri che due donne portavano sulla testa. S'avvicinarono tre Signori (una Squadra d'Azione Fascista?) e, dopo averlo provocato chiedendogli l'iscrizione al Partito Fascista, e deridendolo per il garofano rosso che portava al petto, lo costrinsero a bere un buon bicchiere dell'olio che stava acquistando. Altrove veniva usato allo stesso scopo olio di ricino, più nobile, forse, perché prodotta dai semi di una bella pianta ornamentale ben presente anche da noi, ma sicuramente più repellente e più tossico. Vincenzo Paparo è stato, quindi, fortunato, e se l'è cavata con un non pericoloso malessere che durò qualche settimana.
I nomi dei tre non rimasero sconosciuti, né in Santa Caterina né in Badolato. Né l'atto era destinato a rimanere impunito.
Nella primavera del 1945, a guerra finita, quindi, circa duecento comunisti badolatesi, issando e cantando Bandiera Rossa, si reca, a piedi, a Santa Caterina, per una ... dimostrazione di forza. Ma i tre sono già morti: la vendetta non viene consumata.
Tratto da La Radice
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