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Eventi Storici di Badolato

Al Confino


Pubblicata in data : 15/10/2004

Periodo storico : Anni '40

"Confino" è un termine che ormai appartiene alla storia, e non solo della nostra vecchia Italia. Poiché contrastante con le garanzie costituzionali oggi previste, il relativo articolo del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza è stato soppresso, e il confino è stato sostituito dal "soggiorno obbligato", che non è la stessa cosa, specialmente nelle motivazioni per cui viene comminato. Appartiene, il termine confino, al glossario poliziesco e giuridico e, ancor prima e forse ancor più, a quello politico, a campi che esulano, in questo momento e in questa occasione, dalla nostra indagine, e quindi da questo lavoro.

La caratteristica principale per cui il confino è tale è l'allontanamento del reo dal proprio domicilio; così anche per il soggiorno obbligato. La Calabria, pertanto, per la fonna allungata che ha l'Italia rimane una delle terre più lontane dalle regioni del Nord, e quindi spesso scelta dalle Autorità responsabili per spedirvi in vacanza i "sovversivi". Allo stesso modo è il lontano Nord ad ospitare i nostri in odor di mafia.

Ero bambino quando ho sentito parlar di confinati per la prima volta. Ce n'erano alcuni a Badolato, tutti rigorosamente provenienti dalla Lombardia, dal Piemonte e giù di lì: stiamo indagando su questi politici ormai forse scomparsi, per recuperare un giorno questa importante pagina di storia, che è anche nostra. Poi ho imparato di Cesare Pavese, piemontese, arrivato al confino a Brancaleone il 5 agosto del 1935; di Carlo Levi, l'autore di Cristo si è fermato a Eboli, piemontese anche lui, confinato in Lucania nel 1935-36; ed anche dell'ingegnere Giovanni Gatti, confinato a Squillace, dove s'incontrò con la meridionale baronessa Marincola che ha poi sposato. Solo da poco, in verità, sono venuto a conoscenza che anche alcuni Badolatesi sono stati confinati per motivi "politici". Ne abbiamo "scovati" sei, tutti morti, ormai, due da emigrati in Argentina dove pure abbiamo scavato per ricostruire questa pagina di storia "minore" della vecchia Badolato all'epoca della vecchia Italia.

I contadini-operai (più di uno era tale nel passato) Nicola Gallelli (Badolato 18.8.1905- Argentina 8.9.1992), Vincenzo Gallelli (Badolato 15.9.1906-1.1.1973), Andrea Lanciano (Badolato 12.7.1907- 24.3.1982), Bruno Mannello (Badolato 5.12.1908-15.4.1984), Antonio Provenzano (Badolato 22.5.1899-morto in Argentina) e Andrea Serrao (Badolato 18.11.1897-S. Andrea 2.1.19.77) lavoravano, con altri, alle dipendenze di una non meglio identificata ditta Borelli (di Nicastro) per la costruzione del ponte della ferrovia sul torrente Ponzo, in sostituzione di quello travolto dal nubifragio del novembre 1925 in contrada Punta, nei pressi del Vodà (vedi LA RADICE - n° 1/1997 - pag. 23). Non ricevendo puntualmente il sudato salario, i Nostri protestarono con un telegramma, al quale seguì quello della ditta comunicando che l'indomani un impiegato sarebbe arrivato alla stazione ferroviaria per il dovuto pagamento. I nostri "scioperanti" disertarono quella mattina il cantiere e attesero fiduciosi, di buon mattino, presso la stazione ferroviaria, incuranti del freddo pungente (era il 12 febbraio, del 1927). Dal lento treno scese un signore incappucciato che, insalutato perché sconosciuto, filò diritto verso il paese (ovviamente quello in collina, perché la Marina non c'era ancora). Il "funzionario fascista" (tale pare si sia rivelato) tornò più tardi con i Carabinieri e fece arrestare gli scioperanti perché avevano cantato e fischiettato Bandiera rossa. È stato vero? Il nostro pensiero non fa testo. Ma Raffaela Serrao, la figlia del suddetto Andrea, ci ha detto l'altro giorno che il padre ammetteva di aver cantato l'inno "sovversivo". Di contro, chi ancora oggi guarda con occhi poco benevoli quel ventennio si affanna a dichiararci che non può esser vero, giacché le condizioni socio-culturali dei sei mal si conciliavano con un atto politico di tal genere. Tesi, quest'ultima, sostenuta da uno dei protagonisti, Nicola Gallelli, che abbiamo ascoltato in una fonocassetta registrata alcuni anni fa e fattaci pervenire di recente dall'Argentina. Arrestati e portati in casertna, due sono stati immmediatamente liberati perché minorenni (uno dei due pare sia Domenico Mannello, ancora tra noi anche se residente negli Stati Uniti). Gli altri sei, invece, arrestati "per canto di inno sovversivo" sono stati ospiti del carcere di Badolato (per 5 giorni), e poi di Catanzaro, di Reggio, di Messina. Infine, con processo verbale del 9 marzo 1927, sono stati mandati al Confino, due a Ustica (Nicola Gallelli e Bruno Mannello), gli altri quattro "a Lipari", dice Nicola Gallelli nella "storia della sua vita".

Dalla scarsissima documentazione rintracciata abbiamo notizia che Andrea Lanciano è stato "condannato a 15 mesi di confino", e Bruno Mannello è stato "condannato al confino per 1 anno". Non altro. Non abbiamo notizia dell'effettiva permanenza nell'isola di ciascuno dei sei, ma dalle numerose e attendibili fonti orali risulta che all'arrivo a Ustica i Nostri hanno trovato simpatia e benevola accoglienza da parte di altri confinati "politici", ingegneri, medici, avvocati, uomini di cultura, tutti bonariamente meravigliati che il Regime perdesse tempo a perseguire anche gente così innocua, come si presentavano, ed erano, i Nostri. Dalle stesse fonti appuriamo che qualcuno dei sei sarebbe rimasto volentieri al confino perché si riceveva una indennità "sicura" di dieci lire al giorno, stando a riposo; mentre al paesello natìo la lunga giornata lavorativa, quando c'era, riceveva un compenso di sole cinque lire. Sappiamo, dalla sua viva voce, che Nicola Gallelli rimase a Ustica solo pochi giorni, in quanto il padre, Antonio Gallelli, avrebbe "messo mezzi" a Badolato per far avere al figlio la libertà.

I nostri sei "protestanti" tornaron comunque presto al paese a condurre la normale vita della gente comune, di cui generalmente non si occupano i libri di storia. Vincenzo Gallelli e Andrea Lanciano tornarono a fare i contadini-operai, sino alla morte. Nicola Gallelli continuò a fare la spola per l'Argentina, dalla quale era rientrato nel 1926, per sposarsi. Anche Antonio Provenzano finì i suoi giorni in Argentina dopo una lunga e sudata tappa della vita di contadino in quel di Lucro. Bruno Mannello dopo una parentesi di alcuni anni tornò alla stazione ferroviaria dove per venticinque anni fu dipendente delle FF. SS. Andrea Serrao, com'era nel suo carattere, tornò a fare l'ambulante nei paesi vicini, ed anche il "gistehraru" quand'era libero dall'orario di negoziante di alimentari, e chiuse la sua vita in quel di S. Andrea Ionio.

A noi, nel chiudere quest'altra pagina di storia non solo badolatese, il dovere di ringraziare, per la collaborazione, Vincenzo Andreacchio, Peppino Ciani, Vincenzo Cossari, Aldino Gallelli, Vincenzo Lanciano (genero del confinato Vincenzo Gallelli), Andrea Larocca, Vincenzo Larocca, Cosimo Piroso, Pasquale Procopio, Domenico Pultrone. Un grazie particolare alle signore Caterina Lanciano vedova Mannello e Raffaela Serrao, ad Antonio ed Immacolata Gallelli, che, l'uno dall'Argentina e l'altra da Roma, si sono prodigati per farci avere la fonocassetta con la registrazione delle parole del genitore. Un ringraziamento, inoltre, al Comando la Stazione dei Carabinieri di Badolato per averci dato l'autorizzazione a cercare quel poco che abbiamo trovato.

Una riflessione, sia consentita, a chiusura. Quanta poca documentazione è rimasta nelle nostre case, nei nostri uffici! Quante centinaia di volte stiamo sentendo dire "l'abbiamo buttato"! Non lettere, non cartoline, non diari, non libri, non documenti! Spesso neanche negli uffici pubblici. Per secoli è mancata in Badolato, e non solo nei contadini, la consapevolezza dell'importanza del reperto. Oggi, invece, impera l'egoistico atteggiamento opposto, per cui il documento, che è un bene collettivo, diventa talvolta pretestuosamente o fraudolentemente un bene privato ed esclusivo. Perché questo castigo?!

Tratto da La Radice

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