Pubblicata in data : 16/10/2004
Periodo storico : 1951
Piovve a lungo a cavallo della fine di settembre 1951, ma senza intensità tale che potesse far presagire una catastrofe. Una breve pausa, e poi nuovamente le piogge, a cominciare da giovedì 11 ottobre, senza interruzione, giorno dopo giorno. Cominciarono a franare alcune colline a monte, riempiendo il Gallipari, il Barone, il Graneli, il Copino, il Vodà. Ad ogni ostruzione, dovuta ad alberi divelti, seguiva un'esplosione il cui rumore già cominciava a mettere seria paura a chi osservava lo spettacolo dalla finestra, dal balcone, dal terrazzo. E poi l'inondazione che tutto travolgeva al suo passaggio, coprendo orti, "mbarchi", "càlatri" e mulini (i tanti mulini ad acqua che le future nostre generazioni non vedranno mai). Ed infine i crolli! Sarà stato unicamente a causa della notevole quantità d'acqua caduta, od invece per lo slittamento del terreno su una falda d'argilla su cui poggerebbe tutto il "Destru", od ancora per una scossa di terremoto ipotizzata con forza in quei giorni e negli anni successivi, nella notte tra il 17 e il 18 ottobre, all'alba, cominciarono a crollare le prime case nella zona che guarda a Mezzogiorno, nella "Jusuterra" e nel "Destru". Quante ne caddero? Non abbiamo documenti in merito. C'è chi parla di ottantacinque: un dato possibile, ma non riscontrato. Alle prime si aggiunsero tante altre cadute nel periodo immediatamente successivo. E tantissime altre (decine e decine) sono state demolite nei mesi successivi perché costituenti pericolo per uomini e cose. Altre ricevettero il colpo di grazia con le alluvioni dell'ottobre 1953 (poche, in verità; tanto poche che non sarebbe esatto parlare di "alluvioni del 1953"). E altre case sono ancora lì, intatte, ma in zona demarcata, quindi inabitabili. Quante case in tutto? Dalla documentazione fornitami in visione dall'Ufficio tecnico comunale si rileva che in Marina sono stati consegnati ai sinistrati 244 alloggi, di cui parecchi costruiti a tempo di record:
n. 78 consegnati con verbale del 24 giugno 1952; n. 80 " 27 settembre 1954; n. 60 " 30 maggio 1955 (per i sinistrati del 1953); n. 26 " 16 novembre 1956.
Per quanto eloquenti, sono comunque freddi numeri che non danno la dimensione del dramma che ha avvilito Badolato e che ha cambiato la storia di un paese, di un popolo. Scomparsi interi quartieri come i "Monacèhri", "Sangiànni", ecc.: spaccate intere colline; smembrati fianchi di montagne; ricolme di detriti lussureggianti valli; sepolti letti di fiumare; distrutti numerosi pescheti ch'erano per Badolato sicuro strumento di attività agricola e commerciale, e quindi fonte di guadagno per l'intera collettività. Ch'era stata, per circa mille anni, una collettività quasi esclusivamente agricola. Ancora una volta i figli giovani soprattutto, braccia in spalle, una valigia piena di speranze, un cuore traboccante di pianto, e via per il mondo, in cerca di fortuna. Da Mingiano a Zangarsa un ultimo sventolar di fazzoletti, e poi...
Un dramma in cui, purtroppo, non siamo stati soli. Le alluvioni hanno allagato il quell'ottobre anche Isca, S. Andrea, S. Sostene. La furia delle acque in quei giorni ha quasi completamente distrutto Nardodipace. E nel Polesine il Po ha voluto anche le sue vittime. Da noi sarebbe stata un'ecatombe se l'atto finale, il crollo, fosse avvenuto in piena notte. Invece no. La gente ha avuto il tempo di scappare, di cercare rifugio nella parte alta del paese, in Piazza Fosso, a S. Barbara. Centinaia di persone sono state ospitate, per giorni, in alcune case padronali. Numerose le famiglie rifugiatesi al Convento, a Giambartolo, all'allora costruendo edificio scolastico nei pressi della Chiesa di S. Domenico. Altre centinaia hanno trovato rifugio, per gruppi, in case di amici e di parenti. Alcune famiglie hanno vissuto per un anno e più a Mingiano, nel baraccone e nel vicino palazzo di campagna del barone Paparo.
Un ricordo particolare è dovuto all'unica vittima badolatese di quelle alluvioni. Sera di lunedì 15 ottobre, sebbene piovesse già da qualche giorno senza interruzione, non c'erano ancora avvisaglie di crolli; per cui Giuseppe Criniti, "u Solesi", sessantanove anni, dormiva, relativamente tranquillo, nella sua casa di via Toraldo, in compagnia della moglie Giovanna Coscia e della figlia Giuseppina. Era forse da poco passata la mezzanotte quando si schiantò sulla casa un muro perimetrale di una casa soprastante, in quei giorni senza tetto perché in via di ristrutturazione. Passarono forse un paio d'ore prima che i figli Nicola e Andrea arrivassero e scoprissero che per il loro papà, schiacciato dalle macerie, era ormai troppo tardi. La signora Giovanna, prontamente medicata da quel galantuomo ch'è sempre stato il farmacista Domenico Gallelli, intervenuto quasi immediatamente, ne uscì quasi indenne; Peppina, la figlia, porta ancora sulla testa i segni di 24 punti praticabile, sempre di notte, dal medico Antonio Barone. "U cumpàra Peppi", messo in una bara, fu trasportato nella casa data in dote alla figlia Caternùzza, sotto la fontana di Siena. Ma durante il lutto crollò anche quella, insieme alle tante altre: la povera vittima fu sepolta dalle macerie per la seconda volta. Le inondazioni avevano reso inagibile anche il cimitero, che presentava, in quei giorni, loculi sconquassati, terriccio e fanghiglia ovunque, insieme a miseri resti umani dissepolti dalle acque. Per cui il nostro morto fu portato alla Chiesa di S. Nicola, e poi alla Chiesa di S. Domenico, dove cominciò a decomporsi e fu necessario approntare con urgenza una cassa di zinco esterna, in attesa di poter procedere a sepoltura in cimitero.
Quanti danni, nel grande dramma! Quanti cambiamenti di rotta! Quanti destini mutati! Si vuol qui citare, prima di chiudere questo necessario incompleto ricordo, il caso di un'abitazione distrutta due volte. La famiglia del maestro Salvatore Cosenza non s'era ancora accorta, quella mattina, che le case sottostanti la propria, le case della "strada dei santi", stavano crollando. Al primo urlo dei vicini scapparono tutti verso Piazza Fosso senza portare con sé "neanche uno spillo". Fu Pasqualino, il più piccolo della numerosa famiglia, ancora poco più che ragazzo, a tornare indietro di corsa senza dir nulla ai genitori, aprire la porta di casa, prendere la valigetta dei ricordi di famiglia, il fucile del padre e quindi scappare tra le case che gli crollavano intorno. Un ricordo apocalittico -mi confidava il 7 luglio 1995- che lo ha tenuto lontano dal vecchio paese per quarant'anni. Solo qualche anno fa l'amico Pasqualino ha superato il muro emotivo che lo respingeva, ed è tornato a Badolato Superiore, col rimpianto -mi confidava ancora- d'aver perduto tante care visioni per così lungo tempo. Di quella casa rimangono i soli oggetti di quella valigetta: un incendio, divampato a causa d'un braciere in una casa sottostante, ha distrutto tutto, meno che il ricordo. Compresi quei volumi per cui la signorina Antonietta gridava quella sera "I miei libri! I miei libri!
Tratto da La Radice
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