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Eventi Storici di Badolato

La Torre Campanaria


Pubblicata in data : 16/10/2004

Periodo storico : XX secolo

La nostra "torre antica", l’attuale mutilata torre campanaria, detta pure nel passato "torre delle ore" perché anche mediante un orologio comunicava alla gente l’inesorabile trascorrere del tempo, comunemente conosciuta come "campanàru", potrebbe essere stata costriuta nel secolo XVI, ad argomentare dal ritrovamento in loco di una pietra sulla quale si legge: D O M PETRUS SPITALERIUS. Un Pietro Spedalieri, difatti, compare in un Atto del Notaio Napoletano Ascanio Maradei, creato poi, nel 1518 Giudice della Gran Corte della Vicaria (così lo storico A. Gesualdo).

Dall’alto dei suoi 26 metri, i messaggi chiari e metodici delle tre campane.

Diciamo subito che due delle campane, "giunte da remota terra / oltre la Sila verdebosco scura", sono ancora a Badolato, e fanno parte del nuovo campanile della Chiesa Matrice. A sentir qualcuno, la terza, la più grande, sarebbe partita già tantissimi anni fa per altri lidi (questo periodico ne ha scritto altra volta). Noi siamo recentemente saliti sino alle campane, e vi abbiamo letto la data scritta nel bronzo: le due grandi sono datate l’una 1732 e l’altra 1799; la media, su cui sono scritti i nomi di Papa Paolo VI e dell’Arcivescovo Armando Fares e dell’Arciprete Antonio Peronace, è del 1973; la piccola è datata 1901. Da tali date, però, e da notizie varie che abbiamo raccolto, non abbiamo il diritto di trarre conclusioni certe da presentare come verità storiche.

Com’è facile immaginare, la torre campanaria, pur svolgendo un’importante e forse insostituibile funzione civica sino ai primi tre decenni del secolo scorso, era comprensibile motivo di apprensione tra i Badolatesi, perché a causa della sua mole, nonostante la sua robustezza, poteva abbattersi sulle case vicine in occasione di terremoti soprattutto, che non erano tanto rari a Badolato: se ne sono contati 31 dall’inizio del secolo XVI al 1947, mediamente uno ogni 14 anni. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se ogni tanto veniva fuori qualcuno a chiederne a gran voce la demolizione. Particolarmente negli anni 1909 e 1910, immediatamente dopo il terremoto del 1908, si ebbe sull’argomento un sostenuto intreccio epistolare tra il Prefetto di Catanzaro e l’Ingegnere Capo del Genio Civile e il Sindaco di Badolato. Ma in quel periodo non se ne fece niente, forse anche a causa della disputa su chi dovesse pagare le spese dell’accertata necessità di demolizione dalla cupola superiore ai due ordini sottostanti, per l’altezza complessiva di 14 metri circa (1), in quanto il campanile apparteneva al Fondo per il culto.

Rimase lì dov’era la torre antica, se non più ad avvisare la gente ch’erano arrivati "I Turchj ahr!a marìna", almeno a scandire il tempo che passava, a chiamare i più piccoli a raccolta quand’era l’ora della scuola, ad allarmare la gente in caso d’incendio. I più anziani ricordano ancora, non senza nostalgia, "Cenzu u Cecàtu" (Vincenzo Spasari), il campanaro cieco che per oltre trent’anni, a cavallo tra i secoli 19° e 20°, nonostante i continui insulti dei bambini che solitamente lo prendevano in giro, riusciva a suonare tutt’e tre le campane contemporaneamente, tenendo le funi delle due più grandi con le due mani e la fune della più piccola legata all’alluce di uno dei due piedi (non era il solo -si sa- a non usare scarpe).

A parte un restauro di cui si ha notizia, nel secolo XVIII (dopo il terremoto del 1783?), rimase lì sino al 1934 ("XII"), quando fu "demolita per ragioni di incolumità pubblica nel suo ultimo piano". Sono ancora numerosi, tra gli amici da noi intervistati, quelli che ricordano, sempre con nostalgia, i rintocchi di quelle campane per invitarli ad andare a scuola. Nella primavera del 1934 la secolare torre antica cessò di fare sentire il suo rintocco dal mare alla collina, da Stilo a Stalettì. Era veramente vecchia e cadente, o si temeva che lo fosse? O, più semplicemente, disturbava il suono delle sue campane. Noi non lo sapremo mai.

L’opera di demolizione della cupola e dell’ultimo piano, ed il trasporto a terra delle pesanti campane, per la loro pericolosità hanno richiesto l’impiego di abili maestranze, ma anche di fresche energie muscolari: ci vengono fatti i nomi di Michelangelo Anoja, cui fu affidato l’incarico, di mastro Felice Tirabosco, di mastro Rosario Paparo ("Stortu"), di mastro Peppino Gallelli (poi tabaccaio), di mastro Peppino Bressi (‘e Calibàrdi). E ci viene raccontato, da qualche nostra più che ottuagenaria, che le pietre, che portavano giù demolendo, erano leggere, non di granito nostrano ch’è piuttosto pesante: si trattava -ne abbiamo avuto conferma diretta- di pietra tufacea (portata da dove?); che veniva allineata a monte e a valle lungo il corso Umberto I, e che poi fu motivo di scandalo perché fu venduta. Ci raccontano ancora che durante la demolizione qualche persona, dispiaciuta per l’abbattimento, ha persino protestato, naturalmente invano.

Poi il terremoto del 1947, che ha creato, tra l’altro, nuova paura di crollo della vecchia torre, nonostante già fosse decapitata. Si provvide, pertanto, ad abbassarla di ancora qualche metro, ritenendosi, da parte dell’ingegnere preposto al sopralluogo, che non fosse necessaria una demolizione più consistente.

A distanza di soli quattro anni, le alluvioni dell’ottobre 1951 che -se vogliamo- hanno segnato, nel bene e nel male, la definitiva data di nascita di Badolato Marina. E nuova paura per il crollo della torre campanaria che con i suoi 14 metri residui era ancora un gigante (un edificio di oltre quattro piani.) E quindi nuovo intervento di Istituzioni tecniche e di ingegneri, e nuova decisione di ulteriore demolizione. Un paio di metri soltanto, a cura della ditta Talotta, con operai che "La Radice" ha il piacere di mostrare in fotografia ai lettori. Fatto l’ultimo taglio (fine 1951-inizio1952), non si provvide, però, a mettere un qualche "cappello" all’apertura creatasi con l’abbattimento della cupola già nel 1934; per cui il vecchio campanile funzionava ormai da vasca per la raccolta dell’acqua piovana, con conseguente notevole e dannosa umidità ai fabbricati vicini, primo fra tutti quello di Vincenzo Menniti, contiguo alla torre, lato est (il primo fabbricato in cemento armato a Badolato, costruito nel 1936). Soltanto nella primavera del 1956, a spese di Vincenzo Menniti, di Rosa Spasari vedova Pultrone e delle sorelle Gesualdo, è stata realizzata la soletta di copertura, in cemento armato, ad opera di un nuovo muratore, mastro Antonio Mantella, coadiuvato in quel lavoro da Antonio Lanciano ("’e Catarìni) e dal giovine Vincenzo Saraco fu Giorgio, falegname carpentiere. Quella soletta è ancora lì.

Poi…un lungo quarantennio di luci ed ombre nella vita socio-politica del paese. Naturalmente scriviamo di Badolato, dove le conquiste, nel cinquantennio che ha inizio con la fine della seconda guerra mondiale, non sono state poche né di scarsa importanza. Dove nel 1973 nasceva, ad esempio, una tra le prime scuole a tempo pieno d’Italia; ma dove veniva smantellato, nel 1979, il "Castello", a colpi di intrighi e di pressioni politiche prima che di piccone e di ruspa; dove la gente cominciava veramente ad avere il peso politico che le spettava, ma dove veniva distrutto con atto d’insipienza un archivio comunale; dove le battaglie per il lavoro erano tali da creare un’eco nazionale, ma dove il cemento e la plastica desertificavano il tessuto urbanistico medioevale. Scriviamo di un paese che cambiava completamente volto, arricchendosi e impoverendosi sempre di più, non soltanto a causa dell’emigrazione; di un paese dove la quasi totalità della gente non ha mai saputo della storicità di questo vecchio rudere. Ovviamente non si vuole qui criminalizzare né tantomeno giustiziare niente e nessuno, che già troppi sono i giustizieri, grandi e piccini, di ieri e di oggi, in questo "bugno vuoto" che pare vada alla deriva.

Ora -e siamo alla fine del 2001- alla "torre delle ore" viene dedicata, da parte delle Istituzioni, un po’ di attenzione. Non ci illudiamo che ciò avvenga a causa di un chiaro e forte stimolo del presidente della dimissionaria Commissione cultura del Comune (foglio n° 2/P del 22 febbraio 1999), ma ci fa piacere se ogni tanto qualche cosa si muove nella direzione da noi indicata, con qualunque veste e a qualunque titolo. Per chi ci legge da fuori Badolato comunichiamo che in questi giorni si sta già procedendo alla rimozione dei rifiuti, alla pulizia dei muri, alla collocazione di un cancelletto in ferro battuto, a piccoli e delicati interventi restaurativi nella parte interna del rudere, all’installazione di un faro che la illumini di notte, alla posa di una targa che indichi al passante su quale vecchio reperto di cultura materiale sta posando i suoi occhi. Sicuri che non vi saranno brutture in questi modesti interventi, giacché conosciamo la sensibilità dei responsabili della ditta cui è stato affidato il lavoro. Sensibilità non disgiunta dall’umiltà di chiedere lumi e suggerimenti a chi, almeno in teoria, dovrebbe saperne di più.

La vecchia torre, certo, non la vedremo più; né più sentiremo suonare le campane da "Cenzu u Cecàtu", non solo perché questi è già morto, ma anche perché la funzione degli squillanti bronzi viene oggi assolta da strumenti più snelli e più moderni, là dove non è proprio debellata perché anacronistica e anche, talvolta, dannosa. Ma siamo veramente lieti che alla nostra storia venga ancora orientato qualche raggio di luce, affinché ne illumini qualche angolo ancora leggibile. Così come siamo lieti di proporre all’attenzione di chi ci legge le due belle fotografie che abbiamo ricevuto in regalo.

Tratto da La Radice

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