Inserita il 21/03/2005
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Porto di Badolato. L'ex presidente della Salteg Menniti commenta la decisione della Cassazione
«Gli aspetti più amari dell'inchiesta»
Dito puntato contro le "numerose speculazioni illecite"
LA VICENDA del porto di Badolato, denominato "Bocche di Gallipari", tiene banco ormai da questa estate, da quando i riflettori della procura catanzarese sono stati prepotentemente puntati sulla struttura della costa ionica.
Fin dalle prime battute, l'ex presidente della Salteg, società concessionaria del porto, Giampiero Menniti - tirato direttamente in ballo dentro all'inchiesta - ha portato avanti la sua personale battaglia per la legalità.
Oggi alla luce della recentissima sentenza della Cassazione, sul sequestro della struttura, vuole dire la sua.
«Si tratta di un ulteriore riconoscimento dell'ineccepibile e responsabile intervento dell'autorità giudiziaria. La struttura di Badolato è inagibile: sia perché del tutto difforme (altro che nove metri e variante tecnica), sia perché è stata realizzata con totale e dolosa imperizia».
Una vicenda complessa: ma come è potuto accadere?
«Attraverso la capacità di piegare le regole ad interessi: un'iniziativa d'impresa ridotta ad un meschino tentativo di speculazione costruito su condizionamenti. Ovviamente, senza l'azione del magistrato e del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza la vicenda avrebbe subito tutt'altro esito. Un'indagine condotta in modo esemplare per metodo, finalità ed impegno etico. Mi lasci affermare che ho incontrato rappresentanti di uno Stato con la "S" maiuscola, persone che operano con passione e professionalità non comuni».
Lei ha dato un contributo ai magistrati?
«Nulla di veramente importante. Bisogna solo parlare di un contributo doveroso e convinto. Le posso solo dire che in nessuna occasione mi sono avvalso della facoltà di non rispondere di fronte al magistrato ed alla polizia giudiziaria. Il mio è stato e rimane un contributo di chiarezza, di approfondimento, di maggiore comprensione delle dinamiche operative dell'impresa in questione, dei suoi condizionamenti, dei rapporti con la pubblica amministrazione, delle responsabilità e dei comportamenti dei vari protagonisti».
Secondo lei che cosa è accaduto?
«I fatti in contestazione debbono essere riassunti sotto la voce "illecita speculazione". Una prima speculazione attiene la gestione dei lavori di costruzione dell'opera; una seconda speculazione riguarda il rapporto tra l'impresa appaltatrice e la stessa direzioni lavori; una terza azione speculativa riguarda la gestione illegittima della struttura per ormeggi non autorizzati; il tutto sempre in danno della Salteg e delle imprese di minoranza; nell'insieme, per giustificare i vari obiettivi speculativi, sono state innestate diverse procedure amministrative illegittime, seppellire i dubbi sotto una valanga di autorizzazioni, collaudi, atti contabili».
Sembra, dunque, che il fine ultimo fosse l'opera ed il suo valore immobiliare: in questo contesto, che valore ha il finanziamento regionale in questione?
«Di fronte al valore finale dell'opera, il finanziamento regionale ha l'importanza di un bicchiere d'acqua in un pasto luculliano: l'attività degli amministratori attuali della Salteg e del direttore dei lavori non mirava in via prioritaria al contributo pubblico (pari ad un quindicesimo/ventesimo del valore finale dell'opera) ma ad ottenere le autorizzazioni, in forma di sanatoria urbanistica ed ambientale, utili a rendere cedibile sul mercato un'opera non solo difforme, ma anche malamente realizzata, non collaudabile, inagibile, destinata al degrado anzitempo. In questa prospettiva, l'utilizzo di normative non applicabili al caso (vedi art. 13 della l. 47/85) e la realizzazione di elaborati e collaudi privi di fondamento tecnico erano atti essenziali al disegno illegittimo. Semmai, il finanziamento regionale, sommato all'importo del mutuo contratto dalla Salteg ed ai crediti di iva che la Salteg retta dagli attuali amministratori ha ritenuto di riscuotere e si accingeva a riscuotere, determinano un monte finanziario utile alla ditta appaltatrice per fornire copertura all'aumento dei costi di costruzione che, come detto, ha superato, senza alcuna giustificazione, il 100% di quello preventivato: una giustificazione tentata con le perizie di collaudo di cui sopra che avevano questo specifico scopo».
In ogni caso, del ruolo assunto dagli enti pubblici non può anticiparci nulla?
«Il riserbo è d'obbligo, per non turbare il lavoro investigativo. Posso solo dirle che si tratta di un aspetto molto amaro dell'intera vicenda. L'altra faccia dello Stato, questa volta uno Stato con la "s" minuscola, abbarbicato nella crisi etica di una classe dirigente balbettante ed ormai priva di spina dorsale e di dignità. Per fortuna, esistono ancora figure degne di rispetto e stima: su questa scorta, sarebbe ingiusto generalizzare! Del resto, vi sono alcuni ben identificabili soggetti che hanno assunto un ruolo preciso nel contesto dell'azione illegittima: a questi bisogna riferirsi isolandoli dal contesto di protezione nel quale si riparano. Il senso profondo di quest'indagine risiede proprio in questo aspetto: non si tratta solamente di una volgare truffa, ma di una fotografia tragica della decadenza del sistema pubblico in una terra che ha un bisogno enorme di regole e di chi le faccia rispettare».
Quale destino attende la Salteg a questo punto?
«Quello che ancora una volta deciderà la maggioranza dei soci, una maggioranza che fino a qui ha prodotto danni gravissimi alla società conducendola ormai sull'orlo del baratro e che, adesso, come misura minima, dovrebbe trarre opportune conseguenze, consentendo di amministrare l'impresa con rigore, determinazione e professionalità, per riportarla sotto l'alveo della legalità e del profitto».
Per lei cosa si prospetta?
«Non ne ho la più pallida idea, non ci ho ancora pensato con attenzione, ma è secondario: l'indagine andrà avanti, sono in pace con me stesso e questo mi basta».
Tratto da: Il Quotidiano
Autore: Fausto
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