Inserita il 12/11/2005
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Badolato. A tu per tu con Vincenzo Squillacioti, per capire l'abbandono del centro storico
In fuga dal borgo antico
Trecentonovantuno le persone residenti censite nello scorso febbraio
Badolato - All'interno dell'associazione culturale "La Radice", ma anche lungo il corso di numerosi lustri che hanno preceduto la sua nascita nel febbraio del 1991, un ruolo determinante per la sua crescita e divulgazione, è stato svolto dal suo dinamico presidente Vincenzo Squillacioti. L'ex insegnante di scuola elementare, uomo di cultura, promotore di manifestazioni culturali di alto livello, che ha fortemente voluto l'apertura della biblioteca Ccomunale di Badolato, è stato sempre disponibile, a mettere a disposizione, le sue conoscenze, e il suo sapere. «Abbiamo avuto decine di occasioni - dichiara Squillacioti - di trovarci gomito a gomito con studiosi di problemi locali, particolarmente di tipo storico e sociale.
E siamo anche stati chiamati tantissime volte a prestare la nostra modesta collaborazione a giovani studenti universitari in fase di realizzazione di tesi di laurea o più semplicemente di preparazione a qualche esame, di storia, di sociologia, di antropologia. Occasioni per noi molto belle ed anche gratificanti, in quanto ci danno sempre nuove possibilità di scavare riflettere e dialogare sul nostro più significativo passato».
Presidente, un testo di Vito Teti , presentato dalla Radice, che affrontava i motivi dell'abbandono del Borgo di
Badolato, è stato più volte motivo di studio di studenti universitari calabresi?
«Certamente, nell'ultimo di questi incontri, attenta interlocutrice era una giovane studentessa dell'Unical di Cosenza, che aveva letto e studiato Il senso dei luoghi, del nostro Vito Teti, docente di Etnologia presso quella Università. Partendo da tale testo la giovane amica aveva voluto approfondire le motivazioni, più o meno note, che sono state e sono ancora oggi alla base dell'abbandono di tanti paesi di Calabria. Ci siamo soffermati in particolare sul borgo medioevale di Badolato, che all'origine, alla fine del secolo XI, si componeva di 360 fuochi; contava 4.842 abitanti nel 1951, per poi ridursi, nel 1995, a 655 persone effettivamente domiciliate. Il censimento a tappeto dell'8 febbraio 2005 registra la presenza in paese di 391 persone. Dati questi riportati dalla Radice, anno XI, 31 marzo 2005, pag. 29».
Professore, quali sono secondo lei, le motivazioni sociali dell'abbandono dei centri storici?
«Ovviamente sono varie e diversificate le motivazioni, talvolta intersecantisi, dello spopolamento dei nostri centri collinari. L'emigrazione certamente, a far inizio dalla seconda metà dell'Ottocento, ma senza scossoni di tipo demografico, se non a partire dall'inizio della seconda metà del Novecento. Quindi e comunque motivi di tipo economico, ma non sempre per il riscatto dalla fame; più spesso, invece, per perseguire emancipazione sociale e talvolta anche culturale. Va da sé che il più vasto fenomeno del decremento demografico dovuto alla riduzione delle nascite investe buona parte del mondo occidentale, ma anche una sfera socio-politica ed etica per cui abbisogna di trattazioni di tutt'altro genere».
Sull'abbandono dei centri collinari, quanto hanno influito, il terremoto , e i due alluvioni?
«Da un'attenta analisi di questa zona ionica, dove vistoso è il fenomeno dei paesi doppi, uno vecchio in collina e l'altro giovane sul mare, risulta evidente che la motivazione storica del terremoto del 1947, o delle alluvioni del 1951 o del 195, ha trovato terreno fertile, ed anche motivo di notevole stimolo, nell'esistenza di fasce comunali sul mare. Difatti, i centri urbani dei Comuni privi di un territorio costiero hanno subito un calo demografico meno consistente, e sono perciò destinati a vivere più a lungo. Fatta eccezione, naturalmente, per casi molto particolari come Pentedattilo, Roghudi, ecc., ampiamente e magistralmente trattati nel citato volume del professore Teti».
Sul fenomeno, quali sono state le valutazioni della studentessa? Ma non c'è, per caso, una vocazione all'abbandono?
Questa, verso la fine della conversazione, la precisa domanda della studentessa di lettere dell'Uncal. Noi sapevamo, per quel che riguarda Badolato, che fin dall'inizio del 20° secolo c'era nell'aria l'idea del trasferimento dell'abitato nella marina. Anche se, sinceramente, non ci eravamo mai soffermati a riflettere sulle motivazioni di tale "strana" idea. E avevamo inoltre letto, alcuni anni fa, la relazione, datata agosto 1926, del dottore Antonio Tropeano, Ufficiale Sanitario del Comune, che a pagina 2 così recita: «Il progetto dello spostamento di una parte della popolazione in MarinaŠ non ha avuto neppure inizio di esecuzione, perché la località prescelta per la costruzione delle nuove case è una delle più malariche del territorio».
Progresso e Globalizzazione, quanto hanno influito sui trasferimenti delle popolazioni verso le frazioni marine?
«Noi abbiamo da sempre sostenuto la stanzialità dell'animale uomo, anche e nonostante il progresso e la globalizzazione che consentono agli umani di portarsi facilmente ovunque e in brevissimo tempo. Abbiamo persino parlato e scritto di condanna di quei singoli e di quei gruppi di potere economico-politico che, per incapacità ma soprattutto per interesse, gestiscono la cosa pubblica in modo che tale naturale esigenza (la stanzialità) venga impedita da obbligata emigrazione o fuga, con inevitabili e talvolta tragiche conseguenze, non ultimo lo sradicamento che spesso porta all'annullamento di identità. Ma non avevamo mai pensato che potrebbe anche esistere una "vocazione alla fuga", da parte di intere comunità».
Franco Laganà
Tratto da: Il Quotidiano
Autore: Fausto
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