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Tradizioni Popolari di Badolato

La Domenica di Pasqua


Pubblicata in data 10/10/2004

Periodo dell'anno

Domenica di Pasqua

Sin dalle prime ore del mattino c’è nel Borgo un continuo brulichio di persone salite dalla Marina e dai paesi limitrofi per assistere, in Piazza Santa Barbara, ahra Cumprùnta, (alla "Confronta" o meglio, all’incontro tra il Cristo Risorto e la Madre Celeste Maria Santissima).
Trattasi di un antico rito che coinvolge ancora una volta il popolo nella doppia veste di protagonista e di spettatore. Alle ore 10, dalla chiesa di San Domenico sotto un enorme palio retto da sei valenti confratelli, la bellissima statua del Cristo Risorto, raffigurata secondo gli schemi dell’iconografia classica con le tre dita della mano destra alzata nell’atto di benedire, il vessillo della Passione nella sinistra e il piede sinistro poggiato su di un teschio a significare la vittoria sulla morte, è portata in trionfo per le vie del paese, accompagnata dai fedeli che inneggiano il canto. Sulla bellezza della statua gli anziani del luogo amano citare una curiosa leggenda secondo la quale l’artista dell’opera, stupito egli stesso d’essere riuscito a creare qualcosa di veramente straordinario, esclamò: "Oh Signùri meu, quantu si’ bellu!" Ottenendo questa risposta dalla statua: "E non mi vitti e bellu mi fici. Ca si mi vidìvi, cchjù bellu ancòra mi facìvi!"
Il corteo, aperto dal festoso suono dei tamburi seguiti dal bianco stendardo della Confraternita del Ss.mo Rosario e da quello rosso di Santa Caterina rappresentante l'apostolo Giovanni, giunge in pochi minuti a Piazza Fosso, ove lo stendardo del Ss.mo Rosario, dopo tre rapidissimi inchini al Cristo Risorto, parte all'inseguimento di un tamburino. Frattanto, la processione guidata dallo stendardo di Santa Caterina continua il suo percorso lungo quale, là dov'è possibile, i fedeli osservano la corsa verso il convento di Santa Maria degli Angeli.
Non appena la processione del Cristo Risorto al suono delle campane esce dalla chiesa di Santa Caterina d'Alessandria (per la precisione, allorquando dal convento i confratelli, ivi giunti, riescono ad individuare la statua del Cristo Risorto che passa do stimpùni, un luogo della zona manca), riparte la fuga del tamburino inseguito dallo stendardo che, se lo raggiungerà, avrà il piacere di sfondarlo e di appenderlo come un trofeo sulla cima fiorita. In brevissimo tempo, in una zona del paese denominata carra, lo stendardo inseguitore si ricongiunge alla processione per completare insieme il giro. Prima di arrivare ahra funtàna 'e Jàpacu, alcuni confratelli del Ss.mo Rosario sono inviati in avanscoperta per evitare brutte sorprese. Narrano, difatti, gli anziani che inizialmente a Cumprùnta si svolgeva ahru chjanu 'e Cozzala dove venivano messi all'incanto gli stendardi e le stanghe delle statue, com'è attestato da un antico detto ancora oggi cantato dalle persone d'età avanzata: "Si boliti festa ariàla, fujìti tutti ahru chjanu 'e Cozzala. Nc'è don Pàvalu Minniti chi li sburza li ducàti."

La festa era esclusiva prerogativa della Confraternita dell'Immacolata, la quale, rendendosi conto che nel suddetto spiazzo era molto scomodo rappresentare l'avvenimento, decise di servirsi di Piazza Santa Barbara adattissima allo scopo, chiedendo alla Confraternita del Ss.mo Rosario il permesso di poter preventivamente allocare nella vicina chiesa di San Domenico la statua di Cristo Risorto. La confraternita del Ss.mo Rosario acconsentì a tale richiesta, ma pretese in cambio, ottenendolo, oltre agli introiti della manifestazione, che venisse usata per l'occasione la statua della Madonna del Rosario al posto di quella dell'Immacolata.
Successivamente, dopo alcuni anni di collaudata gestione della suddetta operazione, la Confraternita del Ss.mo Rosario, forzando la mano, chiese a quella dell'Immacolata, con esito positivo anche stavolta, la cessione della statua del Cristo Risorto, Contraccambiandola con una somma di denaro pari al valore di un quarto di scatapòzzala (fichi secchi di scarsa qualità). Per tale motivo i confratelli dell'Immacolata, accusati di aver barattato Cristo per un quarto di fichi e continuamente derisi, minacciano di vendicarsi nascondendo la statua della Vergine nelle vicinanze da funtàna 'e Jàpacu, per "sfilare" là, a sorpresa, a Cumprùnta, tirando così un bel tiro mancino alla Confraternita del Ss.mo Rosario che farebbe una bruttissima figura nei confronti della moltitudine di persone assembrate in Piazza Santa Barbara, luogo deputato all'attesissimo evento.

Dal giorno di quella minaccia, i confratelli del Ss.mo Rosario, vivendo costantemente nell'incubo di questa sgradita eventualità, la Domenica di Pasqua, con gli occhi bene aperti, ispezionano la zona sospettata e, se tutto procede bene, dopo aver fatto fare al simulacro di Cristo Risorto che compare proprio in questo momento, preceduto da un tamburino, corre incontro a Maria Ss.ma Addolorata per informarla dell'avvenuta resurrezione del Figliolo Divino. La statua della Vergine, vestita a lutto e ferma davanti la porta della chiesa di San Domenico, dopo aver ricevuto l'inchino-ambasceria del bianco stendardo (che si posiziona a lato delle vicine abitazioni restando in attesa del via libera da parte dei confratelli della Madonna, i quali lo faranno ripartire solo quando saranno certi d'aver sincronizzato i loro tempi con quelli degli altri confratelli del Cristo e salvo altri imprevisti), stentando a credere alla lieta notizia, mentre lo stendardo ritorna velocemente verso la statua del Salvatore, scende molto lentamente verso la Piazza Santa Barbara arrestandosi al muro del cortile delle ex scuole elementari.

Intanto, lo stendardo giungendo in Piazza Fosso ossequia, inchinandosi, la statua del Risorto nel momento in cui questa passa rasente il palazzo di don Matteo Menniti (situato in Corso Umberto I, 95), e riparte nuovamente in direzione dell'Addolorata che riverisce ancora con un inchino effettuato lambendo la casa di Mario Amato (mastru Mariu a Muzza), quasi implorandoLa di credere alla felice novella di cui è latore. Ma la Madre celeste rimane dubbiosa e lo stendardo del Ss.mo Rosario, quasi stupito per tanta incredulità, si congeda da Lei dirigendosi rapidamente un'altra volta verso il Risorto giunto a Piazza Fosso e che omaggia con un inchino fatto vicino al fabbricato della famiglia Piroso (i Surdi), per subito correre incontro, per la terza volta, alla Madonna la quale, posta accanto al gran cancello del cortile scolastico, e continuando a dimostrarsi perplessa, cagiona il conseguente scoramento dei confratelli che con lo stendardo si collocano a lato della strada. Nel frattempo, il rosso stendardo di S. Caterina che si trova in prossimità del Palazzo Menniti (in Corso Umberto I, 88), rivolge il proprio inchino alla statua del cristo pervenuto al portone del Palazzo Spasari (Corso Umberto I, 71) e parte scattante alla volta dell'Addolorata arrivata al primo spigolo dell'edificio Guarna (ahri Varihràri), e quando vi giunge s'inchina ai Suoi piedi come per dirle: "È vero o Maria, Gesù è risorto!"
A questo punto, mentre i due stendardi si mettono da parte sistemandosi prossimi all'ingresso dell'abitazione di Gennaro Bressi (Jennàru u Cavulàru), la Santissima Vergine non esita più e si dedica alla ricerca del Figlio tentando d'intravederne da lontano la bellissima e slanciata figura. Sono momenti carichi di forte tensione emotiva che fanno accelerare i battiti cardiaci degli astanti, i quali tengono gli occhi puntanti sulla statua del cristo Risorto che, avanzando ancora, sembra strofinarsi alla gradinata di un'entrata secondaria di Palazzo Spasari, e su quella dell'Addolorata passata al secondo spigolo di casa Guarna, nell'estenuante attesa di un segnale certo.

Da questi luoghi, i confratelli portatori delle due statue, riuscendo a scorgersi vicendevolmente in lontananza, si scambiano simultaneamente un inchino e accelerano il passo giungendo rispettivamente con il Cristo quasi ad accarezzare il pluviale di casa Amato, dinanzi Palazzo Menniti, e con la Madonna, il margine della strada contigua a casa Verdiglione. Da queste nuove posizioni, i confratelli eseguono contemporaneamente un secondo inchino e aumentano l'andatura pervenendo con il Cristo all'imboccatura di Vico Stella, e con l'Addolorata alla fine della discesa stradale, che sovrasta l'angolo antecedente Via Regina Elena.
È in questo momento che avviene il terzo reciproco e decisivo inchino, a seguito del quale la statua della Vergine, lanciata in un'eccezionale corsa verso quella del Redentore, pochi istanti prima dell'incontro, grazie alla fulminea e straordinaria destrezza di un confratello, perde in un baleno il Suo luttuoso abito nero apparendo agli occhi commossi e incantati dei presenti con una candida e sfavillante veste, ricongiungendosi, a mezzogiorno in punto davanti alla fontana della piazza, con l'amatissimo Figlio resuscitato dai morti. Solo allora l'immensa e trepidante folla accalcata nella capiente Piazza Santa Barbara esplode in un grandissimo e fragoroso applauso liberatorio e in entusiasmanti grida di gioia, mentre, sotto il melodioso suono della banda musicale e quello incessante e festoso delle campane, i confratelli si baciano commossi scambiandosi gli auguri pasquali e ringraziando Dio per l'ottima riuscita da Cumprùnta; la quale, essendo tutta basata sulla svelatura della Madonna, è interpretata, secondo una comune credenza, come annunciatrice di benessere se tutto fila liscio, ossia, se il manto si apre e scivola subito.
Viceversa, se ciò non accade, in altre parole, se il manto non si apre, oppure esita ad aprirsi e la svelatura avviene in ritardo, la cosa è intesa come foriera di disgrazie.

Non solo, ma appena il manto nero cade, proprio per via di questi segni premonitori, è repentinamente raccolto e nascosto in un sacco da un altro confratello, per evitare che il colore del lutto sia ancora presente nel giorno più gioioso della cristianità, quivi degnamente rappresentato dal tradizionale ballo degli stendardi. Si tratta di una singolare danza in onore del Cristo Risorto e della Madonna, eseguita da alcuni confratelli i quali, poggiando sui denti inferiori l'asta dello stendardo lunga tre metri e spessa sei centimetri, riescono a ballare seguendo il ritmo dato dai tamburi e mantenendola in equilibrio mediante due cordicelle laterali chiamate pizzi.

L'operazione non è facile, richiede, oltre a denti forti, grandi abilità, anche perché il lungo drappo dello stendardo, tenuto alto da un secondo confratello, può facilmente far sbandare il danzatore che, partito da lunga distanza, ballando ininterrottamente per tutto il percorso e facendosi spazio fra la gente meravigliata di tanta bravura, giunge dinanzi alle due statue omaggiandole con quell'eccentrico rito propiziatorio che ricorda molto l'antica tradizione greca dello sfoggiare la propria prestanza fisica. Dopo il ballo c'è la processione di ritorno nella chiesa di San Domenico e, successivamente, l'accompagnamento degli ecclesiastici sino alla Matrice da parte degli aderenti alle due Confraternite con il oro stendardi, anticipati dagli allegri suoni dei tamburi.

C'è poi il rientro nelle rispettive chiese d'appartenenza da dove, una volta spogliatisi degli abiti religiosi, correranno verso le proprie case per dedicarsi ai meritati piaceri della rinomata cucina badolatese.

In seguito, nella chiesa di San Domenico i fedeli parteciperanno in massa alla celebrazione della Messa pomeridiana che si concluderà con la benedizione del Crocifisso.

Tratto da Pietro Cossari, "Viaggio nelle tradizioni Popolari badolatesi", edizioni "La Radice", Badolato, marzo 2003

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