Pubblicata in data : 23/11/2004
Pascoli si raffigura personalmente come un eroe del dolore, un uomo che con la forza di carattere è riuscito a vincere la sventura e conquistarsi un grande ruolo morale e sociale nella società del suo tempo. Ma in alcune sue testimonianze sia personali che professionali traspare un risvolto ben diverso, fragile e nevrotico della sua personalità. Esiste in lui una tendenza non indifferente ad ingigantire ogni difficoltà e a percepire il mondo intero come ostile. Infatti, traspare nelle sue opre un atteggiamento “infantilistico” che non è del tutto estraneo all’indicazione che lui stesso diede del famoso “fanciullino” come simbolo dell’ispirazione poetica. Sappiamo benissimo che questa sua particolare personalità era stata segnata dal trauma della tragedia familiare sulla quale il poeta ritornò con insistenza crescente col passare degli anni. Per tutta la vita Pascoli si sentì un orfano attanagliato dalla nostalgia per la famiglia perduta. La sua poesia simboleggia, infatti, nell’immagine ricorrente del “nido”, il luogo dove ci si tiene stretti e caldi, ci si protegge reciprocamente dal mondo esterno. Il “nido” rappresenta l’ideale casa contadina ed un mitico rifugio dove ci si sottrae alle difficoltà, alle responsabilità, alla storia.
Fuori dal “nido”, la realtà gli appare oscura e minacciosa, sia negli aspetti sociali che in quelli naturali. Pascoli accetta la visione materialista dell’universo divulgata dalla scienza positivista, ma di fronte ad essa il suo atteggiamento è di “smarrimento angoscioso”. “Nell’inesorabile meccanicità delle leggi naturali non c’è niente che dia un senso all’uomo e alla sua mortalità; la gelida infinità degli spazi cosmici, in cui la terra non è che uno sperduto atomo opaco, lo opprime fisicamente; l’intera realtà gli appare un mistero”. Esiste pertanto in Pascoli, un rifiuto netto delle consolazioni, un rifiuto di sfida nei confronti della cultura del suo tempo e il suo atteggiamento verso il mistero della natura è emotivo e sgomento e rientra in una crisi generale dell’ottimismo positivista.
Nell’espressione del mistero esiste anche un elemento particolare che si intreccia, contraddicendola,
Alla visione scientifica:la natura del Pascoli ci appare, infatti, animata da presenze inquietanti dove gli animali e le cose mandano oscuri messaggi legati fortemente alle sue radici contadini fatte anche da superstizioni. Le stesse radici rimandano all’ossessiva presenza dei morti ( i propri familiari morti) amati e insieme temuti, che assediano continuamente la sua immaginazione esigendo un tributo in lacrime e chiamandolo a sé. Così al pensiero dei morti s’intreccia in lui il pensiero della sua morte sentita con terrore come annientamento totale e allo stesso tempo come rifugio dal mondo, un ricongiungersi ai propri cari, un ritorno al “nido”.
LA DOLCE POESIA DEL “FANCIULLINO”
Con il saggio scritto fra il 1897 1903 intitolato “Il fanciullino” Pascoli espone le sue idee sulla poesia: “Un fanciullino è presente dentro ciascuno di noi come memoria della propria infanzia: è ciò che abbiamo conservato dell’innocenza e delle capacità di scoprire il mondo con occhi nuovi, con candida e sempre rinnovata meraviglia. È poeta chi sa ascoltare la voce del fanciullino che parla in lui come in ogni uomo”. Attraverso l’allegoria del fanciullino il Pascoli cerca d’identificare la poesia con un “momento di conoscenza primigenia ed eterna” e quindi libera da ogni spessore storico e culturale. Possiamo vedere benissimo come si tratti di una concezione lirica e pura della poesia stessa . la poesia, secondo il Nostro, non è creazione ma scoperta di un’essenza poetica che si trova già nella realtà, e soprattutto nelle piccole cose: “Poesia è trovare nelle cose, come ho a dire? Il loro sorriso e la loro lacrima”. La poesia nasce dunque dalle cose stesse ed è compito del poeta scoprirle e nominarle con un linguaggio della vita quotidiana formato da parole d’uso comune che possono variare da regione a regione caratterizzate anche da fonti dialettali.
Pascoli cerca di conciliare inoltre la sua idea di “poesia pura” con una concezione moralistica: ciò che non è moralmente buono non interessa al fanciullino, perciò non è poetico. La poesia deve insegnare ad accontentarsi di ciò che si ha in quanto scopre un valore nelle più umili cose quotidiane e “pone un soave e leggero freno all’instancabile desiderio”. È proprio in questo determinato senso che Pascoli attribuisce alla poesia una “suprema utilità morale e sociale” e vede nel poeta un “ispiratore di buoni e civili costumi, d’amor patrio e familiare e umano” pur precisando che il poeta non deve farlo apposta ma deve essere capace di ascoltare la sua voce interiore. Pertanto l’utilità sociale della poesia consiste nell’insegnare ed accettare la propria condizione preferendo la conciliazione alla lotta .
Autore Guerino Nisticò
|