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Titolo Rubrica : I MIEI STUDI SU UMBERTO SABA


Pubblicata in data : 23/11/2004



Umberto Saba (1883-1957) è, tra gli intellettuali del primo novecento, il più lontano dalla nozione corrente di “lirica moderna” e viene spesso collocato tra i massimi poeti accanto Ungaretti e Montale. Nacque a Trieste da una madre ebrea abbandonata subito dal marito e forse è questa l’origine di una grave nevrosi che lo tormentò per tutta la vita. Visse quasi sempre appartata Trieste dove gestiva una libreria antiquaria e si allontanò dal “borgo natio” solo durante le persecuzioni razziali e nell’imminente dopoguerra si trovò a Roma partecipe con gran fervore di rinascita civile di quel momento storico. La sua poesia è caratterizzata da un singolare impasto d’arretratezza e modernità e dalla famosa “triestinità” e una città importante come Trieste era al centro d’esperienze culturali e letterarie straordinarie. Il Nostro appartiene comunque alla generazione che, nei primi anni del Novecento, reagiva al “dannunzianesimo” rifiutando anche il suo “sperimentalismo” e riallacciandosi addirittura alla tradizione sette-ottocentesca e al melodramma. Una figura centrale nella poesia del suo tempo perché figura-simbolo della “poesia onesta” che doveva nascere da “un’opera forse più di selezione e rifacimento che di novissima creazione”. Il Nostro usa, infatti, con piena fiducia i metri tradizionali, dal sonetto alla canzonetta arcadica, ricorrendo spesso ai metri liberi, e il suo verso risulta sempre “cantabile”. La sua è una poesia autobiografica ed il titolo di “Canzoniere” che diede alla sua opera completa richiama chiaramente questa sua candida devozione ad un’idea tradizionale della poesia vista come canto, ispirazione, conforto alla pena di vivere. Ogni raccolta parziale della sua opera costituisce un momento della vita del poeta passando dal canto dell’amore coniugale e le sue crisi alla tenerezza per la figlia ed ai vari amori della maturità. La poesia di Saba è piena d’immagini della sua città, di figure della vita quotidiana e popolare in cui il poeta vorrebbe identificarsi ed il suo “autobiografismo” non è una “chiusura intimista” con forti richiami alle vecchie tematiche dell’amore, come possiamo notare e capire dai versi che seguono:

“Se questa folla qui domenicale

mi fosse estranea, mi fosse remota,

un cimbalo sarei che senza grazia

risuona, un’eco vana che si perde.”

( “Il canto dell’amore” )

“A MIA MOGLIE” :

Dopo una lettura ed un’analisi dei suoi versi vedo che il poeta ha voluto ricercare, nelle descrizioni dei vari animali, le caratteristiche per descrivere la sua donna, intravista, però, attraverso la visione concreta e immediata delle cose e dei sentimenti. Infatti, identificando “analogicamente” la sua giovane moglie alle femmine di tutti gli animali che avvicinano a Dio, cerca di portare su piano prettamente lirico il senso di vita primitiva e ingenua ma immensamente esaltante e felice.

Nella sua donna egli vuole esaltare la regalità (“bianca pollastra”) del duo incedere, la dolce maternità (“gravida giovenca”), la fedeltà (“lunga cagna”), l’umiltà e la timidezza del suo carattere (“coniglia”), il “ridestarsi della sua giovinezza” ( “la rondine”), e infine le instancabili ed inesauribili virtù domestiche del suo operato quotidiano (“la formica e l’ape”).

È una poesia definita dalla critica “religiosa e infantile” quasi simile ad una preghiera. Infatti, “il poeta, come il fanciullo, ama gli animali, che, per la semplicità e nudità della loro vita, ben più degli uomini, “avvicinano a Dio” ed alle verità che si possono leggere nel libro aperto della creazione”. Saba scopre, attraverso questa poesia, di aver sentito con gran commozione le identità che correvano fra la sua giovane moglie e gli animali della campagna dove abitavano insieme e tutti questi accostamenti terminano con il verso finale quasi simile ad un gran complimento sostenendo che “in nessun’altra donna” esiste tutto ciò che lui aveva cantato in suo onore in quella sua poesia.

La poesia delinea comunque al suo interno tre elementi significativi ed importanti.

1) Attraverso le similitudini con i vari animali è esaltata la vitalità della donna alludendo però alla concezione profondamente positiva che Saba aveva degli istinti naturali ed in questo sta la religiosità della sua poesia;

2) L’unicità della moglie tra tutte le donne in genere allude all’unicità della madre. Lui stesso sostiene che “se un bambino potesse sposare” sposerebbe con ogni probabilità sua madre e quest’aspetto materno particolare viene anche richiamato da altri elementi come “gravida giovenca” o con la preparazione del nido della “coniglia”;

3) La poesia tende inoltre a tranquillizzare la moglie ( dietro la quale, abbiamo visto, si affaccia quella della madre) riguardo le proprie attenzioni. Tra i vari animali dei paragoni è ricorrente infatti il tema del lamentarsi e del soffrire, e questa è una delle ragioni per cui sono stati scelti dal poeta stesso. Il timore di Saba di far soffrire la madre, perché abbandonata dal marito e quindi sempre triste, ora perseguita il timore di far soffrire la moglie ed è grazie a questo “senso di colpa nevrotico” che viene esaltata l’unicità tra le sue due donne, utilizzata come ulteriore garanzia di fedeltà per la gelosia di sua moglie.

“LA CAPRA”:

In questi pochi versi è racchiuso il “senso della solidarietà universale” nella condanna da tutti i tempi ad un destino di dolore, di sofferenza senza ragione, per l’uomo e per tutta la natura. L’occasione in Saba è semplice e quasi banale, legata all’incontro con una capra legata su un prato e sotto la pioggia. Dapprima il belato lamentoso della capra suscita soltanto lo scherzo innocente di una divertita parola ma poi il poeta avverte in esso la voce inconfondibile e uguale del dolore di tutto il mondo e vi coglie il lamento di tutti gli esseri viventi nati a soffrire e “vi partecipa con la sua coscienza angosciata dal male universale, dalla pena che mai non lascia lui come uomo” e trova il suo centro in questo arrendersi ad una realtà suprema. Come sempre, anche in questa poesia, Saba riesce a trasformare, partendo sempre da una minuta osservazione della realtà, tutti i particolari, anche quelli più umili e quotidiani come in questo caso il belato della capra, in veri ed unici simboli universali. Nella capra, infatti, in cui incombono le avversità della pioggia, della solitudine, dell’infelicità perché legata e bagnata, il poeta riesce a leggere una “corrispondente analogia” con la condizione umana ed il dolore che avvolge ogni essere animale o uomo. Anche se la fame riesce ad essere soddisfatta, anche se il fastidio della pioggia riesce ad essere sopportato, quello della solitudine e del dolore rimane sempre e da cui non è facile liberarsi. Ed è proprio il belato della capra solitaria a rappresentare le voce del dolore universale dell’uomo e dl mondo. Un pessimismo, quello di Saba, molto diverso da quello verghiano e che “è all’origine della sua stessa esistenza e congeniale al suo stesso esistere” . In questo caso, il riferimento alla sua “esperienza semita” è superato grazie alla “perfetta trasfigurazione di un episodio georgico in un simbolo della condizione universale di dolore immanente negli uomini come nella natura”. Si tratta di una situazione estremamente semplice e realistica e segnata da dati realistici come la capra che bela sazia d’erba e bagnata e che Saba utilizza per svolgere la sua intensissima trasfigurazione del particolare descrittivo in simbolo universale operando un’azione sulla parola in senso particolare e specifico. Cioè, attraverso i nessi simbolici istituiti fra i dati realistici, “solitaria-varia” – “eterno-fraterno”- “in una capra dal viso semita-vita” , il poeta è capace di creare dei rapporti vitali sottili e molto vivi tali da far assumere al componimento “un tono di equilibrio fra dato e valore simbolico” per cui ogni elemento realistico, ogni “linea descrittiva appare intensamente giustificata dal significato morale e umano che viene ad accogliere e ad esprimere”.





Autore Guerino Nisticò

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