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Titolo Rubrica : STALIN


Pubblicata in data : 23/11/2004



Stalin è lo pseudonimo (in russo, "uomo d'acciaio") di Iosif Vissarionovic Dzugasvili, nato a Gori, vicino a Tbilisi nel 1879 e morto a Mosca nel 1953.
Nato da da una famiglia di umili condizioni sociali, seguì gli studi - grazie a una borsa di studio - nel seminario seminario teologico ortodosso di Tbilisi. Il contatto, però, con le idee e con l'ambiente dei deportati politici, così numerosi nella regione, gli fece conoscere il grado di ingiustizia e di degradazione in cui erano costrette a vivere le masse popolari sotto il regime zarista. Questo fatto impressionò subito il suo spirito insofferente e ribelle e lo spinse a impegnarsi in un'azione concreta per contribuire a modificare la situazione esistente. Entrò, così, nel movimento marxista clandestino di Tbilisi nel 1898 e cominciò, da allora, un'intensa attività politica di propaganda e di preparazione insurrezionale, che lo portò ben presto a conoscere il rigore della polizia del regime. Arrestato nel 1900 e successivamente deportato in Siberia, riuscì a fuggire e ritornò a Tbilisi, dove si impegnò nell'attività politica.
Nel 1912 venne chiamato da Lenin a far parte del Comitato centrale del partito.
A Pietrogrado subito dopo l'abbattimento dell'assolutismo zarista, Stalin, insieme a Kamenev e a Murianov, assunse la direzione della "Pravda", appoggiando il governo provvisorio per la sua azione rivoluzionaria contro i residui reazionari. Nelle decisive settimane di conquista del potere da parte dei bolscevichi, Stalin, membro del comitato militare, non apparve in primo piano e solo il 9 novembre 1917 entrò a far parte del nuovo governo provvisorio (il Consiglio dei commissari del popolo) con l'incarico di occuparsi degli affari delle minoranze etniche. Nel suo incarico, Stalin si segnalò per il coraggio ma anche per insensibilità e rozzezza nei rapporti umani, il che sollevò le esplicite riserve di Lenin nei suoi confronti, manifestate nel testamento politico, in cui Lenin accusava Stalin di privilegiare le ambizioni personali rispetto all'interesse generale del movimento.

Nominato nel 1922 segretario generale del Comitato centrale, seppe trasformare questa carica, di scarso rilievo all'origine, in un formidabile trampolino di lancio per affermare il suo potere personale all'interno del partito dopo la morte di Lenin (1924). Nei contrasti che sorsero alla morte di Lenin, all'interno del gruppo dirigente sovietico, Stalin sostenne che la Russia doveva puntare alla mobilitazione di tutte le proprie risorse al fine di salvaguardare la propria rivoluzione (teoria del "socialismo in un Paese solo"). Le tesi di Stalin trionfarono soltanto nel 1927, quando infine il Comitato centrale si schierò sulle posizioni staliniane isolando Trotzkij, Kamenev e Zinovev. Con il 1928 iniziò l'"era di Stalin". Da quell'anno infatti la vicenda della sua persona si identificò con la storia dell'U.R.S.S., di cui fu l'onnipotente artefice fino alla morte. Posto bruscamente termine alla N.E.P. con la collettivizzazione e meccanizzazione dell'agricoltura, soppresso il commercio privato (i kulaki arricchiti furono declassati a semplici contadini dei kolchoz o avviati a campi di lavoro), fu dato avvio al primo piano quinquennale (1928-32) che dava la precedenza all'industria pesante.

Circa la metà del reddito nazionale fu dedicata all'opera all'opera di trasformazione di un Paese povero e arretrato in una grande potenza industriale. Furono fatte massicce importazioni di macchinari e chiamate alcune decine di migliaia di tecnici stranieri.
A quest'opera indubbiamente gigantesca corrispose un ferreo autoritarismo e un'implacabile intransigenza: debolezze, lacune ed errori furono sempre duramente puniti; ogni dissenso ideologico fu condannato come "complotto". Furono le terribili "purghe" degli anni Trenta (successive al misterioso assassinio di Kirov) che videro la condanna a morte o a lunghi anni di carcere di quasi tutta la vecchia guardia bolscevica, da Kamenev a Zinovev a Pjatakov a Rodek a Sokolnikov; da Bucharin e Rychov a Jagoda e a Tuchacevskij; che privò fra l'altro l'Armata Rossa di oltre la metà dei suoi comandanti più prestigiosi. Nel 1939, di fronte alle tergiversazioni occidentali, Stalin preferì la concretezza tedesca (patto russo-tedesco del 23 agosto 1939). La spartizione della Polonia (1939) e la guerra alla Finlandia (1940) rientrarono nella stessa concezione: garantire al massimo le frontiere sovietiche "calde". Nel 1941 però la Germania aggredì l'Unione Sovietica e Stalin, dopo i primi giorni di sbandamento, chiamò il popolo russo alla guerra patriottica contro gli invasori, fino alla vittoria sulle macerie fumanti di Berlino nel 1945. Il dopoguerra trovò l'U.R.S.S. impegnata nuovamente su un doppio fronte: la ricostruzione all'interno e l'ostilità occidentale all'esterno, resa questa volta assai più drammatica dalla presenza della bomba atomica.

Fu l'età della "guerra fredda", del "sipario di ferro", che portò Stalin a irrigidire ancor più il monolitismo del Partito comunista fuori e dentro i confini, di cui è espressione evidente la creazione del Kominform e la "scomunica" della deviazionista Iugoslavia. Quando morì, la popolarità di Stalin come capo del movimento di emancipazione delle masse oppresse di tutto il mondo era ancora intatta: ma bastarono tre anni perché al XX Congresso del P.C.U.S. (1956) il suo successore, N. Chruscëv, ne denunciasse i crimini, gli errori e le deviazioni, dando il via al processo di "destalinizzazione".





Autore Fausto Gallucci

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