Pubblicata in data : 9/5/2005
CENNI SULL’ATMOSFERA
L’atmosfera costituisce una pellicola abbastanza sottile attorno al nostro pianeta; in questo limitato spessore è contenuta tutta la riserva di ossigeno necessaria per le funzioni vitali dell’uomo. L’atmosfera, contrariamente a certe convinzioni radicate soprattutto nel passato, non è immutabile e non dispone di un’infinita capacità di autorigenerarsi; c’è stato, infatti, un tempo nella storia della terra, in cui la composizione dell’atmosfera era ben diversa da quella odierna: essa conteneva più anidride carbonica ed i suoi costituenti principali erano gas come l’acido solfidrico ed il metano. In quel periodo l’ossigeno era presente in minori quantità rispetto ad oggi e costituiva un veleno per le specie allora viventi.La composizione dell’atmosfera negli ultimi due milioni di anni - cioè il periodo corrispondente alla presenza dell’uomo sulla terra - è rimasta pressoché invariata. La massa d’aria che circonda la Terra è stimata in oltre cinque miliardi di tonnellate; la concentrazione delle sostanze che compongono l’aria si può misurare in frazioni molecolari o in percento in peso.
La frazione molecolare esprime quante molecole di una certa sostanza vi sono in 10.000 molecole totali; la frazione molecolare è anche detta frazione di volume perché alla stessa pressione un numero uguale di molecole di un qualsiasi gas occupa lo stesso volume. Per le sostanze presenti in piccole quantità si usano, invece del percento, le parti per milione (ppm). La percentuale in peso indica invece quanti grammi di una certa sostanza ci sono in 100 grammi d’aria; le percentuali in peso differiscono da quelle in volume perché le molecole di differenti sostanze hanno pesi diversi.I costituenti principali di un’aria non inquinata sono l’azoto (78,09%, quantità espressa in frazione molecolare) e l’ossigeno (20,94%), in quantità molto minori seguono l’argon, l’anidride carbonica, il neon, il metano, l’ossido di carbonio, l’ozono, l’anidride solforosa e il biossido d’azoto (solo 0,01 ppm).
L’atmosfera, avendo un peso, esercita una pressione, che è il rapporto fra la forza esercitata sopra una superficie e la superficie stessa. Normalmente noi non ci accorgiamo di questa pressione perché è equilibrata da quella presente all’interno del nostro corpo.Al livello del mare la pressione è di circa 1Kg per ogni cm2 e questo valore diminuisce con l’altezza.Anche la temperatura varia con l’altezza e dipende dalla velocità con cui l’energia radiante del Sole viene ricevuta e da alcuni processi che sono accompagnati da scambi di calore: evaporazione, condensazione, reazioni chimiche.Si è soliti suddividere l’atmosfera in differenti zone a seconda del modo in cui la temperatura varia man mano che cresce la distanza dalla Terra.
La prima zona, che si estende per una decina di chilometri, viene chiamata troposfera (dal greco "tropos" = mutamento) ed in essa è contenuto più del 90% della massa totale dell’aria. La zona di atmosfera compresa tra i 15 e i 50 Km prende il nome di stratosfera – all’interno della quale si trova l’ozonosfera -, oltre i 50 Km è definita mesosfera.Queste tre zone sono delimitate in alto rispettivamente dalla tropopausa, stratopausa e mesopausa.La temperatura al suolo assume un valore medio di 18°C, che decresce abbastanza velocemente fino a raggiungere i –50°C a 20 Km. di quota.Allontanandosi ulteriormente dalla superficie terrestre, la temperatura prende a crescere e raggiunge + 17°C poco sopra i 50 Km.; al di sopra di questa quota si ha una nuova progressiva diminuzione e a circa 90 Km. di altezza la temperatura scende a circa –73°C.
La variazione effettiva di temperatura con l’altezza dipende anche dal luogo, dall’ora del giorno, dalla stagione, ecc.In condizioni particolari può accadere che all’interno della troposfera la temperatura aumenti con l’altezza invece di diminuire: situazioni di questo tipo sono dette inversioni di temperatura; è in queste situazioni che si verificano gli episodi più gravi ed acuti di inquinamento.
L’inquinamento atmosferico è definito come l’accumulo nell’aria di sostanze in concentrazioni tali da provocare danni temporanei o permanenti a uomini, animali, piante e beni. La concentrazione, a cui una sostanza provoca inquinamento, varia molto da elemento a elemento: pochi miliardesimi di grammo (nanogrammi) per metro cubo di aria di benzopirene provocano un danno maggiore di una decina di milligrammi per metro cubo di ossido di carbonio.Facendo riferimento alla quantità globale di tutti gli inquinanti emessi, notiamo che cinque di essi contribuiscono da soli a più del 95% del totale.
Questi inquinanti sono: l’ossido di carbonio (CO), il biossido di zolfo (SO2), gli ossidi di azoto (NOX), gli idrocarburi, il materiale particolato.La concentrazione di questi cinque inquinanti, oltre a quella dell’ozono, viene utilizzata come indice della qualità di un’aria e le leggi fissano i valori massimi che queste concentrazioni possono raggiungere.Bisogna tenere ben presente che anche se gli indici delle concentrazioni rientrano nei valori prestabiliti dalle Leggi non significa che un’aria sia di ottima qualità: non esiste un valore minimo di "sicurezza", ma più le concentrazioni sono basse più l’aria è salubre.
I PRINCIPALI INQUINANTI
GLI OSSIDI DI AZOTO
Nel mondo vengono emesse annualmente circa 50 milioni di tonnellate di NOX e più del 90% è prodotto da processi di combustione (in impianti fissi, civili o industriali, e in sistemi di trasporto).In zone ad alta intensità abitativa o industriale, e soprattutto in caso di condizioni metereologiche sfavorevoli, la concentrazione media giornaliera può raggiungere 0,4-0,5 ppm (cioè superare di 400-500 volte i valori medi di un’aria non inquinata).
Nei gas di scarico degli autoveicoli sono contenute quantità più elevate di monossido di azoto (NO) rispetto al biossido di azoto (NO2), il loro rapporto relativo è circa 95 a 5. Solo successivamente in atmosfera l’NO subirà un’ulteriore ossidazione convertendosi in NO2. Tale processo è attivato dalla radiazione solare, si avrà quindi una maggiore concentrazione di NO2 in rapporto all’NO nei mesi estivi. L’NO2 viene considerato come inquinante secondario poiché deriva dalla trasformazione in atmosfera subita dall’NO.
Per quanto riguarda le emissioni degli autoveicoli, si hanno emissioni maggiori a velocità costante e tanto più elevate quanto è elevata la velocità. Il biossido di azoto è di colore bruno-rossastro e di odore pungente e soffocante, mentre il monossido di azoto è incolore ed inodore. L’NO2 è circa quattro volte più tossico dell’NO ed esercita il suo principale effetto sui polmoni provocando edemi polmonari.A
d elevate concentrazioni si possono avere convulsioni e paralisi del sistema nervoso centrale, irritazione delle mucose e degli occhi, nefriti croniche. Oltre agli effetti dannosi sulla salute dell’uomo, gli ossidi di azoto producono danni alle piante, riducendo la loro crescita, e ai beni materiali: corrosione dei metalli e scolorimento dei tessuti.
IL MONOSSIDO DI CARBONIO
Le concentrazioni di monossido di carbonio, così come quelle di idrocarburi incombusti sono direttamente correlabili ai volumi di traffico, infatti circa il 90% di CO immesso in atmosfera è dovuto ad attività umana e deriva dal settore dei trasporti. Vi sono comunque anche altre fonti che contribuiscono alla sua produzione: incendi boschivi, processi di incenerimento di rifiuti, combustioni agricole (ad esempio di sterpaglia) ed alcune attività industriali specifiche (industria petrolifera, fonderie).
Anche il fumo di tabacco, a livelli ristretti, costituisce una sorgente di inquinamento da monossido di carbonio. Il suo contenuto di CO può arrivare a 700-800 ppm e il livello di carbossiemoglobina (composto formato dall’unione del CO con l’emoglobina del sangue) in un fumatore raggiunge il 7% contro lo 0,5% di un non fumatore che vive in un’aria pulita.
Il monossido di carbonio è un composto inodore ed insapore e deriva da una combustione incompleta dei composti contenenti carbonio; in particolare la presenza di CO nei gas di scarico è causata da rapporti errati aria-combustibile, impurezze o additivi così che non si arriva all’ossidazione completa dell’atomo di carbonio (in condizioni ideali i prodotti della combustione dovrebbero essere unicamente acqua e biossido di carbonio).
Le emissioni di CO sono maggiori in un veicolo con motore al minimo o in fase di decelerazione e diminuiscono a velocità di crociera (60-110 Km/h) per poi aumentare nuovamente ad alte velocità.
Il monossido di carbonio va considerato inquinante primario a causa della sua lunga permanenza in atmosfera, che può raggiungere i sei mesi. Gli effetti sull’ambiente sono da considerarsi trascurabili mentre quelli sull’uomo sono estremamente pericolosi.
Questo inquinante, concentrandosi al suolo, costituisce una minaccia serissima per i bambini come pure per gli adulti affetti da anemia, inoltre minaccia lo sviluppo del feto e aggrava le malattie cardiovascolari. La tossicità è proporzionale alla concentrazione ed al tempo di esposizione.
La concentrazione di monossido di carbonio nelle città, a causa del traffico, è ben superiore a 0,1 ppm che costituisce il valore normale di un’aria non inquinata e non sono rare medie di 30-40 ppm nei centri cittadini, raggiungendo, per qualche secondo, valori di 150-200 ppm in zone dove barriere architettoniche (sottopassi o gallerie) impediscono la libera circolazione dell’aria.
GLI IDROCARBURI
Gli idrocarburi (composti formati da idrogeno e carbonio) vengono bruciati per ricavare energia dalle combustioni. Oltre che come combustibili essi vengono anche utilizzati come prodotti di partenza nell’industria chimica per ottenere medicinali, cosmetici e materie plastiche.
Anche alcune attività legate all’agricoltura e l’incenerimento dei rifiuti solidi sono altre sorgenti dell’inquinamento da idrocarburi.
I veicoli a benzina contribuiscono più degli altri alle emissioni di idrocarburi, essendo la benzina una miscela di idrocarburi semplici e molto volatili.
Negli autoveicoli le emissioni maggiori si hanno a velocità basse, mentre quelle minori a velocità comprese tra i 70 ed i 100 Km/h.
Complessivamente gli idrocarburi di origine umana immessi nell’atmosfera annualmente ammontano nel mondo ad un centinaio di milioni di tonnellate e solitamente la loro concentrazione nei centri urbani è mille volte superiore a quella misurabile nei boschi. Gli idrocarburi interferiscono sui processi respiratori ed irritano gli occhi, mentre alcuni tra gli idrocarburi policiclici aromatici sono cancerogeni.
Il solo idrocarburo che eserciti un effetto dannoso sulle piante è l’etilene: esso rallenta la loro crescita interferendo con gli ormoni che ne regolano il metabolismo.
L’ANIDRIDE SOLFOROSA
Una quantità significativa di questo inquinante è immessa in atmosfera da fenomeni naturali (es. esplosioni vulcaniche).
Lo zolfo è presente anche negli oceani e si libera in atmosfera attraverso la schiuma marina; precipita poi con le piogge depositandosi direttamente e venendo poi assorbito dalla vegetazione.
Nelle città, escludendo le emissioni industriali, la maggior sorgente di anidride solforosa è il riscaldamento domestico (perciò la concentrazione di SO2 nell’aria dipende molto dalla stagione e dalla rigidità del clima).
Circa il 70% dei quasi 130 milioni di tonnellate di SO2 immersi annualmente nell’aria proviene da combustioni in impianti fissi, mentre appare trascurabile l’apporto dato dai mezzi di trasporto.
Il petrolio, oltre agli idrocarburi contiene anche composti con atomi di zolfo che può arrivare fino all’1%.
Lo zolfo è invece praticamente assente nella benzina e contenuto in piccole quantità nel gasolio; l’olio combustibile si suddivide in olio a basso tenore di zolfo (Btz) e olio ad alto tenore di zolfo (Atz); mentre il carbone ne contiene una percentuale che varia dallo 0,5% al 2,5% e dipende dalla zona di provenienza.
La combustione negli impianti fissi, come le fabbriche e le centrali termiche per la produzione di energia immettono nell’aria una notevole quantità di biossido di zolfo (SO2), in quanto tali impianti utilizzano carbone o olio combustibile spesso ad alto tenore di zolfo. Sull’uomo provoca principalmente irritazione dell’apparato respiratorio, possibili spasmi bronchiali ed in casi estremi bronchiti croniche ed enfisemi.
A parte gli effetti sulla salute dell’uomo, l’SO2 provoca l’ingiallimento delle foglie delle piante poiché interferisce con la formazione ed il funzionamento della clorofilla. L’effetto dannoso sulle piante è ancora più accentuato quando l’anidride carbonica si trova in presenza di ozono. Tale fenomeno si chiama sinergismo: con questo termine si intende che l’effetto di due sostanze, quando sono insieme, è maggiore della somma degli effetti delle sostanze prese separatamente. Il sinergismo si verifica di frequente negli episodi di inquinamento; per esempio l’azione dannosa di molti inquinanti è aumentata dalla presenza di particolato. L’anidride solforosa provoca danni anche su alcuni materiali, aumentandone, ad esempio, la velocità di corrosione.
Inoltre il biossido di zolfo, combinandosi con il vapore acqueo, origina acido solforico (H2SO4), uno dei maggiori responsabili delle piogge acide.
Comunque oggi, in Italia, grazie all’impiego di combustibili meno inquinanti sotto questo aspetto, il biossido di zolfo è presente in concentrazioni talmente minime che il suo monitoraggio non risulta significativo.
LE CONSEGUENZE DELL’INQUINAMENTO
L’effetto serra
Il fenomeno dell’effetto serra è causato da alcuni gas presenti nell’atmosfera che assorbono la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre irradiata dal sole rimandandola verso il basso.
Uno tra i principali gas responsabili di tale fenomeno è l’anidride carbonica; assieme ad esso contribuiscono altri gas presenti in quantità minori nell’atmosfera come metano, ossidi di azoto, ozono e diversi clorofluorocarburi (composti che contengono cloro, fluoro carbonio e a volte idrogeno) tristemente noti anche per essere responsabili del buco dell’ozono. L’aumento dei gas serra si è avuta dopo la rivoluzione industriale per l’uso esasperato di combustibili fossili, e la notevole deforestazione che ogni anno elimina molti ettari di foreste che esplicano sia un’azione diretta di regolazione del clima sia indiretta per la fissazione di CO2 in materia organica.
Il veloce aumento osservato potrebbe nel prossimo futuro (mezzo secolo), in base a studi modellistici, avere come conseguenza un incremento significativo di temperatura, che secondo alcuni studiosi è già oggi in corso, a cui si assocerebbe anche una alterazione spazio temporale del pattern delle precipitazioni.
Ciò avrebbe un notevole impatto sull’ambiente rappresentando una minaccia per gli ecosistemi naturali, la produzione agricola e gli insediamenti umani. Ad esempio vi sono foreste che crescono in aree geografiche le cui caratteristiche dipendono dalla natura. Probabilmente le foreste non riuscirebbero a reggere la velocità di migrazione ben superiore richiesta dal riscaldamento previsto poiché le piante sono relativamente immobili e non si disperdono facilmente come gli animali.
Lo spostamento verso i poli delle fasce climatiche alla velocità prevista, si lascerebbe quindi alle spalle molte specie o addirittura ecosistemi interi. La distruzione o la modificazione dei vari habitat avrebbe pertanto pesanti conseguenze sul patrimonio di biodiversità del pianeta. Una conseguenza altrettanto grave riguarda il danno subito dal fitoplancton, cioè le microscopiche alghe che sono alla base della catena alimentare degli oceani.
Le piogge acide
Anche il fenomeno delle piogge acide, di grande attualità, è causato dalle trasformazioni chimiche subite dagli inquinanti atmosferici. Ci si può rendere conto del fenomeno considerando che nelle zone colpite da questo fenomeno i monumenti si sono deteriorati negli ultimi decenni di più che nei secoli precedenti. L’acidità media delle precipitazioni, soprattutto nel nostro emisfero, è in continuo aumento.
Le due tipiche sostanze presenti nelle precipitazioni acide sono l’acido solforico e l’acido nitrico. L’unità di misura dell’acidità è il pH, collegato al contenuto di ioni idrogeno: il pH uguale a 7 rappresenta la perfetta neutralità, soluzioni a pH minore sono definite acide e soluzioni a pH maggiore si definiscono alcaline.
Normalmente il pH naturale della pioggia è pari a 5,6; i ghiacciai ci forniscono una testimonianza su quale fosse il pH prima dell’era industriale: gli strati più antichi dimostrano che esso non era mai minore di 5. Questa situazione è stata notevolmente modificata dalle massicce emissioni di ossidi di zolfo e di azoto.
Oggi si afferma sempre di più la tendenza ad aumentare l’altezza delle ciminiere delle industrie: questo provoca la diminuzione degli inquinanti nelle aree distanti pochi chilometri dalla sorgente, ma il tempo di permanenza nell’aria risulta molto più lungo e quindi c’è una possibilità maggiore che questi si trasformino in sostanze acide. Oggi nel mondo vi sono decine di ciminiere di altezza superiore ai 300 metri e una, negli Stati Uniti, supera i 400. In questo modo il problema dell’inquinamento viene portato da una scala locale ad una nazionale o addirittura sovranazionale, alcuni Paesi ricevono sul loro territorio una quantità di ossidi di zolfo e di azoto più elevata di quella da loro prodotta.
L’acidità delle precipitazioni è oggi da 5 a 40 volte quella caratteristica di una pioggia non inquinata; dagli anni ’70 il fenomeno, che in precedenza interessava solo una limitata zona dell’Europa centrale, ha cominciato ad interessare l’Italia, in particolar modo la valle del Po. Questo avviene nonostante le correnti atmosferiche, normalmente dirette da Sud-Ovest a Nord-Est, tendano ad allontanare le emissioni dalle zone meridionali dell’Europa. Gli effetti delle piogge acide sono molteplici e interessano la vegetazione, gli ecosistemi idrici, le opere murarie – in particolare il patrimonio artistico – ed infine la salute. Nei fiumi, nei laghi e nei mari un abbassamento del Ph provoca notevoli alterazioni: lo sviluppo degli embrioni di alcune specie viene bloccato già a valori di pH minori di 6, mentre a valori inferiori a 5, cominciano via via a scomparire varie specie di pesci, a cominciare dai salmoni e dalle trote.
Particolarmente rilevante è l’effetto sui monumenti: il marmo, che è costituito da carbonato di calcio, viene, per effetto dell’acido solforico, trasformato in solfato di calcio. Il solfato è molto più solubile in acqua del carbonato e quindi le piogge successive sciolgono letteralmente il monumento strato dopo strato.
Una sorte simile subiscono i metalli che sono sottoposti ad un processo di corrosione; nel caso del rame questo fenomeno si manifesta con la tipica patina verdastra.
IL PROBLEMA DEL BUCO DELL’OZONO
Recentemente sono state sollevate preoccupazioni sul rischio della possibile parziale distruzione dello strato di ozono presente nella stratosfera che ci protegge assorbendo le radiazioni ultraviolette ed impedendo a queste di arrivare a quote più basse. Misure eseguite con sonde spaziali hanno messo in evidenza una effettiva diminuzione di concentrazione in una zona di atmosfera sopra l’Antartide.
L’ozono presente nella stratosfera costituisce uno scudo protettivo contro la maggior parte della radiazione ultravioletta (raggi UV) proveniente dal sole impedendole di raggiungere la superficie terrestre. L’importanza dello strato di ozono deriva dal fatto che i raggi UV sono tanto energetici da scomporre importanti molecole come il DNA e, se non sufficientemente filtrati, possono far aumentare l’incidenza di tumori della pelle, delle cataratte e delle deficienze immunitarie, provocando inoltre danni alle comunità vegetali forestali di interesse agronomico e agli ecosistemi acquatici.
Negli ultimi decenni si è potuto evidenziare che in primavera lo strato di ozono nella zona al di sopra dell’Antartide è diminuito di circa il 40%: si è in sostanza formato un "buco" nello strato di ozono stratosferico.
Tenendo in considerazione la gravità degli effetti conseguenti alla penetrazione dei raggi UV, molta attenzione si è rivolta per scoprire le cause dell’assottigliamento, che si sviluppa ogni primavera australe, all’interno del vortice in corrispondenza del Polo Sud.
Purtroppo ancora una volta la causa è stata identificata nel fenomeno dell’inquinamento. Tra i maggiori responsabili dell’erosione dello strato di ozono sembrano esserci i clorofluorocarburi (CFC) commercialmente noti come "Freons".
Questi gas sono stati inventati negli anni ’20 e da allora prodotti e utilizzati in grandi quantità come refrigeranti per impianti frigoriferi e condizionatori d’aria, propellenti per bombolette di aerosol e come agenti schiumogeni.
Una grande quantità di questi è prodotta dai voli degli aerei supersonici; questo tipo di emissione è particolarmente rilevante perché il rilascio avviene direttamente a quote stratosferiche.
Un tempo i CFC erano considerati sostanze ideali per impieghi industriali perché economici, stabili ed inerti e pertanto non tossici; ma proprio questa loro mancanza di reattività li rende potenzialmente pericolosi per l’ozono stratosferico.
I gas inerti non si degradano facilmente nella troposfera (la fascia più bassa dell’atmosfera) e di conseguenza raggiungono la stratosfera posta a maggiore altezza. In questa regione per azione dei raggi UV le molecole vengono scisse in forme più reattive che sono in grado di interagire con l’ozono e determinare la sua distruzione.
Per porre rimedio a questo problema si è progressivamente vietato l’uso dei CFC in modo da eliminare l’ulteriore loro immissione in atmosfera (a tal scopo i rappresentanti delle nazioni industrializzate si sono riuniti a Montreal nel 1987); ciò non è comunque risolutivo considerando che tali gas persistono nell’atmosfera per decenni (essi hanno un tempo di permanenza che varia, a seconda dell’altezza, da 1 a 300 anni).
Gli studi in atto sono focalizzati sia a comprendere più approfonditamente il chimismo della stratosfera per trovare eventuali rimedi, sia a stabilire quanto il problema possa avere implicazioni su scala planetaria o se rimarrà legato alla stratosfera sopra la regione antartica dove vigono condizioni meteorologiche uniche.
CONSIDERAZIONI PERSONALI
Al termine di questo elaborato credo di aver appreso nuove nozioni riguardanti l’inquinamento atmosferico e di aver capito che è necessario evitare quei giudizi e quelle affermazioni troppo semplicistiche, che talvolta appaiono sui quotidiani e in televisione. Il problema, in verità, è assai più complesso di quanto possa sembrare a prima vista, tenuto conto del fatto che è correlato a numerosi fenomeni naturali e che produce, purtroppo, i suoi "nefasti" effetti in più di un settore.
Questo tema va comunque inquadrato in una questione di più ampio respiro, quella del rapporto tra uomo e ambiente. E’ inevitabile infatti, dopo aver studiato scientificamente l’inquinamento atmosferico, chiedersi come "l’uomo del 2000" debba considerare l’ambiente che lo circonda.
La natura, a mio avviso, non deve essere considerata, come è stato fatto fino ad oggi, una risorsa da sfruttare e dalla quale ricavare un profitto. E’ necessario invece che l’uomo prenda coscienza che inquinare significa auto-distruggersi tenuto conto che, almeno per il momento, non possediamo altra " casa " che il nostro bellissimo pianeta terra.
Difendere l’ambiente è quindi un dovere di tutti, un compito necessario per salvaguardare la nostra salute e quella degli esseri viventi che ci circonda. Nel corso di questa ricerca mi sono ben presto accorto che l’argomento da me prescelto è estremamente vasto e soprattutto in continua evoluzione. Anche se i dati scientifici riportati e commentati potrebbero, in poco tempo, risultare superati, sono convinta che quanto svolto sia stato per me molto utile.
Innanzitutto per capire i concetti di fondo che regolano questo fenomeno e poi per appassionarmi all’argomento, non solo come studentessa ma anche come cittadino che dovrà, nel suo piccolo, adottare quei comportamenti atti a prevenire l’inquinamento del pianeta e necessari affinché l’uomo non arrivi a pentirsi, amaramente, di quanto ha fatto a madre natura.
Autore Cristiano Roberta
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