Pubblicata in data : 9/5/2005
Nel caso di De Roberto, e della sua opera presa in considerazione, parliamo di fonti storiografiche ben accertate e non di fonti letterarie che contribuiscono fortemente al carattere “storico” di questo importante romanzo del ‘900 letterario italiano. Molti critici italiani hanno sempre sostenuto che nel ‘900 il “romanzo storico” fosse scomparso, invece, come dimostrano altri importanti esempi come “La Storia” di E. Morante ed “Il Gattopardo” di T. di Lampedusa, il genere “storico” nel ‘900 italiano è sempre esistito ed ha avuto anche una certa continuità.
Ritornando comunque al discorso sulle “fonti dell’Imperio” di De Roberto, troviamo diverse testimonianze e diversi documenti che dimostrerebbero tutto ciò partendo innanzitutto da un’intervista dell’agosto del 1890 fatta a De Roberto proprio nello stesso periodo della pubblicazione della sua monumentale opera, rimasta poi incompleta, che doveva compiersi con una “Trilogia” e con una continuazione de “I Viceré”.
Il Nostro il 25 dicembre del 1908 ricomincia a scrivere da principio il suo romanzo trasferendosi a Roma ed arricchendo il suo testo con diversi documenti politico-istituzionali avuti grazie alle sue usuali frequentazioni degli “ambienti politici” romani che sono, più che mai, al centro del suo racconto. De Roberto aveva in mente un “progetto letterario” preciso e sono diverse le ragioni che ci spingono a pensare ciò.
Il Nostro fa infatti una critica ai “quadri politici italiani post-risorgimentali” e si accanisce verso un protagonista del romanzo stesso, nascosto dietro il personaggio Salvo, che era un vero personaggio storico dell’epoca: il Marchese di San Giuliano che era anche un deputato ed un ministro.
De Roberto segue alla lettera la carriera politica del marchese scrivendone la vita e gli avvenimenti vissuti Conosce perfettamente tutto ciò che lo riguarda e ciò è testimoniato anche da alcuni articoli giornalistici politico satirici , nei confronti dello stesso marchese, che il Nostro pubblicava su un giornale, il “Don Chisciotte”, e che firmava con un nome d’arte, “Serventes”. Pertanto, il Marchese di San giuliano è un modello bersaglio e Salvo è un anti-eroe, uno strumento inventato ad hoc per contestare, denunciare e colpire lo stesso Marchese.
De Roberto non cita mai direttamente i documenti usati meticolosamente per informarsi su tutto ciò che riguardasse il Marchese. Sembra quasi che li “rimaneggi” creando un “falsario”. Sembra quasi voglia creare una copia capace di deformare impressionisticamente la sua figura, di deriderla volutamente.
Nei primi anni del ‘900 questa critica derobertiana , nei confronti di questo marchese, si affievolisce e forse sarà anche questo uno dei motivi che bloccheranno la stesura del romanzo. Il progetto modifica anche il suo stesso “credo ideologico” per motivi storico-politici italiani del primo novecento ma devono anche essere uniti a quelli psico-fisici che caratterizzarono la malattia nevrotica del nostro autore.
Testimonianza di tutto ciò è il suo epistolario quotidiano con la madre che ci porta ancora ad un’attente osservazione fatta sulla sua “crisi letteraria” e sul suo abbandono al “progetto letterario” che aveva in mente. Così De Roberto perdendo il suo “bersaglio polemico” per eccellenza, perde anche la sua vena letteraria polemica e di protesta contro tutto l’ambiente politico italiano post-risorgimentale.
“L’Imperio” è un “romanzo parlamentare” , ha un repertorio limitato ed è un romanzo incompiuto ma nello stesso tempo molto importante. La sua “incompiutezza” risulta quasi un “privilegio” e si lascia al lettore ed al letterato come un “cantiere aperto”.
La “pratica compositiva” de “L’Imperio” è fondata sul travolgimento ironico delle fonti e su un giudizio meticoloso sulle stesse. Niente è lasciato all’autore, tutto è documentato, anche alcuni particolari grotteschi del racconto. Pertanto, nulla è inventato ed abbiamo una “documentazione dal vivo” con una “lettura degli atti parlamentari” e con una “ricognizione giornalistica” e con uno studio dettagliato sui personaggi da criticare.
Così “L’Imperio” è un’opera diversa da “I Viceré” anche se abbiamo una vena polemica uguale mirata principalmente ad attaccare il potere. Nel primo romanzo abbiamo una critica ed una polemica circoscritta alla denuncia parlamentare. C’è una critica specifica sul “parlamentarismo” italiano della sua epoca. Nonostante tutto, i critici sostengono che il secondo romanzo sia molto più attendibile del primo per i suoi più dettagliati studi storiografici e per le sue accertate fonti storico-letterarie. Ne “L’Imperio” , però, tutto è verificabile anche se manca la “riscrittura” e la “citazione dei documenti base su cui si fondano le polemiche e le accuse derobertiane.
Abbiamo infatti, delle “parti digressive” con una voce narrante che parla in terza persona e che riepiloga i fatti collegandoli ad altri (es: 2° capitolo). Queste non sono delle “fonti visibili” ma il fatto stesso che il Nostro lasci l’opera incompiuta ci lascia con il dubbio che probabilmente l’autore avrebbe voluto porre tutte le “fonti” alla fine del suo romanzo. Abbiamo inoltre, delle “parti di azione” con dialoghi che non si individuano tra le fonti e che sono totalmente inventati. I dialoghi sono gli unici momenti impersonali del racconto ma, anche se le scene con le parole sono inventate, vengono sempre costruite sul calco di quelle reali.
Tutto è esasperato, storicamente inventato ma rispetta le sue tesi politicamente e storicamente vere. De Roberto rimarca i toni, screditando le idee politiche del tempo e deridendo personaggi storici-politici dell’epoca, realmente esistiti. Così l’autore crea “modelli ironici”, critici e beffardi e nel suo racconto sono totalmente assenti le citazioni documentarie non solo di “Salvo” ma di tutti i parlamentari. De Roberto cerca così, attraverso questa tecnica particolare, di criticare il trasformismo politico italiano del tempo attaccando anche tutto l’ambiente letterario a lui contemporaneo.
Come abbiamo potuto notare, esistono in lui degli obiettivi politici palesi e precisi dettati da una polemica anti-giolittiana, contraria al suo trasformismo politico. Ciò è incarnato in un altro personaggio importante del romanzo: Ranaldi. Questi è l’alter ego del nostro autore, è un giornalista attraverso il quale traspare il “motivo della manipolazione dei documenti retorici dei parlamentari”. Il romanzo di De Roberto è una vera presa di coscienza sulla “disillusione politica”. Ranaldi è un’allegoria della “moralità” del parlamento italiano e di tutta la politica nazionale.
Ci sono ancora., oltre ai sopra già citati obiettivi politici, degli obiettivi di scrittura che vengono raggiunti attraverso una “traslazione delle fonti”. Infatti, la comprensione del romanzo dipende dalla comprensione della costruzione del romanzo stesso sulla c.d. “manipolazione” delle stesse fonti. L’opera risulta un vero romanzo d’ambiente con un quadro sociale ben raccontato caratterizzato fortemente da una serie di impressioni derobertiane raccolte dalla frequentazione degli ambienti romani.
Pertanto, la polemica e la denuncia arrivano soltanto dalla “traslazione delle fonti” e dall’imitazione. De Roberto intreccia , nel suo racconto, il registro pubblico con quello privato trattando anche il tema dell’amore con figure femminili emancipate come la Ranieri, personaggio anticonformista, e come la Clarenci, modello tradizionale di donna.
Il romanzo ha un finale strano, atipico per il De Roberto, con il tentato suicidio di Ranaldi che viene salvato dall’amore per una donna (NB: il suicidio di Ranaldi è il suicidio metaforico politico letterario dell’autore che rinnega il suo mondo nel quale nessuno dei politici italiani possa veramente salvarsi…).
Finale strano ed ambiguo, che ci lascia con alcuni dubbi, perché per De Roberto l’amore non esisteva. Dubbi che affiorano anche sul possibile messaggio nichilista di Ranaldi con delle riflessioni filosofico-esistenziali.
Ma a questo punto facciamoci delle domande: cos’era il romanzo storico per De Roberto? E… a cosa serviva? La nozione derobertiana di “Storia” era molto diversa da quella dei letterati del ‘900.
(NB: l’epistemologia della “storia” cambia sempre a secondo dell’autore).
Il romanzo storico deve essere testimonianza e denuncia. Fare storia significa fare letteratura, raccontare ed il romanziere storico ha un mandato sociale preciso da rispettare. Questi ha infatti una funzione politico-sociale importante che deve portare sempre avanti con una carica caustica con gran livore di scrittura.
Il “modello storico” derobertiano prescinde però dal “citazionismo” e dal “registro memoriale” e la sua “pratica di scrittura” è molto diversa dai suoi colleghi contemporanei. De Roberto crede che l’invenzione porti ad un prodotto oggettivo e crede nella storiografia, che a volte è vista dal punto di vista letterario. Parliamo a questo punto di storiografia e di narrativa che risultano sempre più simili e che trovano un’unione teorica nella c.d. “storical narrative”.
Così “L’Imperio” è un romanzo storico ibrido, bifronte basato su: 1) Ricostruzione fedele; 2) Interpretazione originale.
De Roberto è un demistificatore, rovescia con le sue tecniche i miti, distrugge i valori e crea disillusione.
Non parla di immutabilità della “storia” , di una storia che non cambia mai e che rimane sempre la stessa con uomini che sono e rimarranno sempre dei veri “predoni”(NB: questo è un alibi per gli stessi predoni) perché a lui interessa soltanto il carattere specifico storico del periodo post-risorgimentale, perché è il registro centrale del suo romanzo incompiuto.
Salvo è infatti un idolo polemico, strumentale, un “anti-eroe del momento storico” trattato. C’è in lui uno scacco storico, uno scacco quasi personale, un fallimento preciso di quel periodo storico che lui stesso detesta e rinnega con le diverse sfaccettature della sua politica. ( NB: De Roberto non è mai stato mai un “militante” ma un vero letterato “impegnato” ).
Autore Guerino Nisticó
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