Pubblicata in data : 9/5/2005
Questa poesia appartiene al primo periodo dell’attività poetica di Montale, e precisamente al 1916, dando così inizio ad una “nuova poesia”. Il concetto fondamentale qui è: la vita non è altro che costeggiare un muro che non si può valicare, perché ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”.
C’è in questa poesia una descrizione ambientale particolare di un meriggio estivo torrido. La natura sembra quasi stremata dal caldo eccessivo e tutto è abbagliante, caldo e screpolato. Nonostante tutto, il “travaglio” degli esseri continua a svolgersi senza sosta, perché tutti sulla terra – uomini, animali e piante – siamo “condannati a camminare sempre”, con fatica e senza scopo alcuno, lungo una muraglia che non consente di vedere al di là. Né l’uomo può tanto meno scavalcarla per evadere dalla piatta realtà che lo imprigiona. Il “muro”, come abbiamo visto anche a lezione, ha naturalmente un significato simbolico perché rappresenta la barriera invalicabile che divide la realtà della vita, tutta intessuta di pene, dal mondo delle illusioni e dei sogni. Il “muro” è il duro “travaglio quotidiano” dalla felicità irraggiungibile.
All’inizio si propone una “immagine di verticalità” data a mio avviso, dal “rovente muro d’orto” e ciò potrebbe costituire anche una possibile chiave di lettura della situazione poetica ardua che il poeta stesso ci descrive, una situazione comunque ai limiti delle vere risorse espressive di Montale perché una poesia giovanile che lui stesso considera “il primo frammento tout entier a sa proie attache” dove “la prede era il suo messaggio”. In questo caso è significativo vedere che il momento propizio alla cattura della “preda” sia il meriggio, e cioè l’ora senza ombra, quando il sole appunto è all’apogeo della sua corsa, e “reca con sé la luce della rivelazione”, dall’alto.
Ma abbiamo visto bene, soprattutto a lezione, che in Montale non si dà “rivelazione” e così della metaforica classica del sole, della presenza piena ch’essa annuncia, non rimane che la luce abbagliante, in una spinta verso l’alto “muta come quel muro”. Si direbbe quasi che nella dell’ora meridiana il paesaggio descritto tenda ad offrirsi allo sguardo dell’osservatore in una sorta di “verticalità immanente ai movimenti che lo compongono”: “le file rosse di formiche / ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano / a sommo di minuscole biche”; “il palpitare / lontano di scaglie di mare / mentre si levano tremuli scricchi / di cicale dai calvi picchi”.
Infine, la vita stessa si configura nell’assonanza che la lega alla “cima”, i un movimento che sembra prefigurare “l’immoto andare di Arsenio”, in quanto si risolve nell’immagine della “verticalità immobile della muraglia e dei cocci aguzzi di bottiglia”. Ancora una volta, il movimento in verticale elude l’attesa e “spezza il vincolo originario con il sublime per ergersi sulla punta di un coccio di bottiglia”. Così è il gesto di “scoronamento della vita” che scaturisce dall’uso di una parola che non ci appartiene, che si riconosce nella metafora del muro, perché nell’attimo stesso in cui chiude allo sguardo l’orizzonte, suggerisce la presenza “dell’altrove”, senza giungere mai a “toccare l’essenza”. Il “muro” tende così ad esercitare una duplice valenza metaforica nei confronti della vita; chiude l’accesso al senso che invano cerchiamo di attribuire ad essa e nello stesso tempo, ci divide dall’altra facciata, che proprio in virtù di questo distacco rimane altrove, “intangibile nell’integrità della sua essenza” ed in entrambi i casi si tratta di un vero “gesto di separazione” dove la vita si scopre sempre divisa.
Questa “poesia giovanile” montaliana sembra risultare quasi un “esperimento linguistico da laboratorio” esercitato sopra gli oggetti più prossimi di un “micro - paesaggio” ligure che costituirà lo sfondo prevalente degli “Ossi di seppia”. La struttura di questo componimento è elencativa dove l’uso degli infiniti verbali significa il rifiuto di un’identificazione personale e vuole ottenere un’oggettivazione radicale. Le rime, baciate nella prima e nella terza strofa, ed alternate nella seconda
( ma…è da notare la rima imprecisa “veccia – intrecciano”) ridotte a consonanze nella quarta, introducono una “scansione musicale”. L’effetto fonico delle scelte verbali “sterpi-serpi-schiocchi-scricchi-cocci”tende apparentemente allo “scordato” ed “all’antigrazioso”. Il “sentire” del quart’ultimo verso non allude ad un evento sentimentale, ma sembra equivalere ad un “accorgersi”, ad un modo di conoscenza che riconduce l’esistenza a una “muraglia” dichiarando per la prima volta la concezione montaliana del “limite”, dell’invalicabile.
“Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi
Nelle crepe del suolo o su la veccia spiare le file rosse di formiche ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano a sommo di minuscole biche.
Osservare tra fondi il palpitare lontano di scaglie mare mentre si levano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia sentire con triste muraglia com’è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.”
ANALISI, PARAFRASI, NOTE E COMMENTI:
METRICA: Si tratta di quattro strofe di versi liberi con rime ed assonanze e dove l’ultima strofa introduce una situazione di irregolarità rispetto alle precedenti quartine.
1) “Meriggiare pallido e assorto”: si riferisce al trascorrere il meriggio in una sorta di torpore (situazione estiva) “meriggiare” è il primo di quegli infiniti impersonali come “ascoltare-spiare-osservare-sentire” che servono ed evocare certe particolari situazioni e connotano le tappe della ricerca esasperante del poeta sui fini della vita, che poi si conclude con la “triste meraviglia” del cammino assurdo della vita stessa ed il sentimento della vanità di ogni sforzo. “pallido e assorto” : si riferiscono al soggetto del meriggiare e sono una coppia sinonimica senza valore semantico
“Ascoltare tra i pruni e gli sterpi”: si tratta di pruni spinosi, sterpi , schiocchi o strepiti di merli, frusci di serpi che a parte gli effetti sonori aspri e il ritmo incalzante, connotano immagini di un paesaggio amaro ed arido, psicologicamente impietrito, un ambiente inospitale. N.B.: C’è qui una doppia negatività dell’ambiente dettata anche dalla c.d. “moltiplicazione delle consonanti” , presenti nelle stesse parole usate nella strofa. - Uno sguardo sulla “natura” di Montale: “La natura di Montale è calcinata e irta ed in essa non esistono possibilità di abbandoni idillici, di evasioni fantastiche, di addolcimenti d’atmosfera, che appaghino sia pur brevi momenti di oblio. Natura e paesaggi sono dei veri momenti di una concezione disperata, e rappresentano l’ambiente arido in cui l’uomo si dibatte cercando una meta che non si può intravedere. “
2) “Nelle crepe del suolo….” : Parafrasi II strofa: Osservare attentamente nelle crepe del terreno e sulle piante erbacee e rampicanti ( veccia) le file di rosse formiche che ora s’interrompono sulla sommità di piccoli mucchi di terra.
N.B.: penso che qui l’immagine voglia connotare per analogia, che anche il mondo animale si affatica invano, come gli uomini, nella costruzione di un ordine di un senso. “veccia-biche” : parole molto strane “rosse formiche”: le formiche sono rosse con funzione negativa, con funzione di fragilità e miseria.
3) “Osservare tra…” Parafrasi III strofa: Osservare tra i fondi il mare che scintilla al sole, ma il cui spumeggiare delle onde appare alla vista come formato di tante scaglie o lamine metalliche, cioè come pietrificato in una “fissità tagliente”, mentre s’innalza con tremulo scricchiolio il finire delle cicale dalle cime rocciose e nude delle montagne.
N.B.: “scricchi-picchi-scaglie” sono immagini e parole di effetto onomatopeico che descrivono un paesaggio che è estremamente allusivo ad una situazione di desolazione disperata.
In questa strofa c’è una situazione marina dove il “mare” è protagonista. Il “mare” è intravisto da lontano, quasi spiato ed osservato di nascosto. Vengono osservate da lontano anche le c.d. “scaglie di mare”. Così il tremolare del mare di chiaro-luce a livello di superficie crea un gioco simile alle scaglie dei pesci. In sostanza il “mare” viene reso umano perché “palpita”. Allo stesso modo qui palpita il cuore del poeta mentre si levano “tremuli scricchi” di cicale. ( ricordiamoci sempre che si tratta di una situazione estiva).
4) “E andando…” Parafrasi IV strofa: Camminando di contro alla luce abbagliante del sole, sentire - comprendere con triste meraviglia la raggelante scoperta – che la vita e il suo travaglio consiste tutto in questo scorrere senza posa (seguitare) una muraglia che ha in cima “cocci aguzzi di bottiglia” ed è quindi invalicabile perché risulta una barriera che divide la realtà della vita sofferta com’è realmente, dalle illusioni e dalle speranze del domani.
N.B.: I cinque versi di questa strofa introducono una situazione di irregolarità rispetto alle altre quartine. Ci sono qui quattro versi con rima mentre il terzo verso non fa rima con nessuno. C’è anche “allitterazione” tra le parole finali di ogni verso per “gli” e ciò descrive una totale situazione di “soffocamento” da parte del poeta.
Fonosimbolismo del poeta: colore / tristezza / vita / travaglio / bottiglia-------è una situazione ermetica, di chiusura, non amichevole, quindi una situazione di soffocamento. “La luce è inesorabile, e tutto il paesaggio è arroventato e contorto”. La particolarità delle rime in questa strofa e le assonanze insistenti, con quella allitterazione tra le parole finali dei versi stessi, rendono più fluido il suono, mentre ormai il poeta “costruisce la sua desolata conclusione”.
Autore Guerino Nisticó
|