Pubblicata in data : 9/5/2005
( Letture personali, commenti, pensieri e riflessioni su alcune sue opere)
Thomas Stearns Eliot nacque a St. Louis nel Missouri il 26 settembre del 1888. Nel 1906 si9 iscrisse alla Università di Harvard, dove fece studi di letteratura in particolare classica rinascimentale e quindi anche di filosofia. I suoi principali maestri furono Irving Babbitt e Gorge Santayana. Nel 1910 conseguì il “Master of Arts”, e si recò quindi per la prima volta in Europa, a Parigi, dove seguì le lezioni di Bergson e approfondì la sua conoscenza della letteratura simbolista francese, che doveva fortemente influenzarlo nella sua prima produzione poetica. Tornato in America, divenne assistente di filosofia, sotto la guida di Royce e cominciò a scrivere la sua tesi di dottorato sul filosofo F.H. Bradley. Nell’estate del 1914 tornò in Europa per studiare all’università di Marburg, interessandosi soprattutto di fenomelogia.
Allo scoppio della I guerra mondiale si trasferì in Inghilterra, dapprima a Oxford e quindi a Londra, dove sposò nel 1915 Vivien Haig Wood e conobbe Ezra Pound. Nel 1917 si impiegò presso la Lloyds Bank, ma la nuova attività non gli impedì di dedicarsi, con un successo sempre crescente, non soltanto alla scrittura di poesie ma anche all’attività critica e giornalistica. Così nel 1917 apparve la sua prima raccolta di poesie “Prufrock and Other Observations” – “Prufrock e altre osservazioni”. Eliot era ormai diventato una figura rilevante nell’ambiente degli artisti londinesi. Conobbe così Windham Lewis, Leonard e Virginia Woolf che sembra gli avrebbero pubblicato artigianalmente, presso la loro Hogarth Press, la sua seconda raccolta di poesie “Poems” 1919 nonché la prima edizione inglese in volume di “The Wastle Land” – “La terra desolata”.
Nel 1920 pubblicò la sua prima raccolta di saggi “The Sacred Wood” – “Il bosco sacro” che doveva avere immediata e duratura influenza sulla critica anglosassone. Nel 1922 la pubblicazione di “the Wastle Land” lo rese famoso in tutto il mondo. Nello stesso anno fondò la rivista “The Criterio”, che dirigerà fino al 1939 quando ne cessò la pubblicazione. Nel 1925 fu finalmente in grado di lasciare il suo lavoro alla Lloyds bank ed entrò a far parte del consiglio di amministrazione della casa editrice “Faber a faber”, di cui doveva divenire direttore del settore letterario. Nel 1927 si convertì all’anglicanesimo, e contemporaneamente prese la cittadinanza britannica. La sua poesia cambiò tono e temi : “Ash – Wednesday” – “Mercoledì delle ceneri” (1930), “The Rock” (1934) e infine il suo più importante lavoro della sua “maturità”, “Four Quartets” – “Quattro quartetti” (1943) sono opere di un “poeta religioso” che si accosta ora a problematiche riguardanti la “crisi del mondo contemporaneo” con la guida discreta di una fede. Continuò poi a scrivere saggi di critica letteraria e di teoria della critica da una prospettiva polemica legata alle sue nuove convinzioni religiose e al suo conservatorismo politico-sociale.
Negli anni Trenta prese a dedicarsi intensamente al teatro. Scrisse “Murder in the Cathedral”(1935) “ Assassinio nella cattedrale” e “The Family Reunion” (1939), tentando il recupero del dramma in versi. Nel 1948 gli venne assegnato il Premio Nobel per la letteratura. Scrisse anche moltissimi drammi come “The Cocktail Party” 1950, “The Confidential Clerk” 1954 ed infine “The Elder Statesman” 1959. Nel 1957 , dopo la morte della prima moglie, sposò Valerie Fletcher, già sua segretaria e morì a Londra il 4 gennaio del 1965.
Come abbiamo visto “The Wastle Land” è una delle sue opere più importanti è rappresenta, all’interno della cultura europea, il luogo di massima virulenza, e infine di superamento, della crisi dei valori che si era altrove concretizzata in modo rigido e senza prospettive di soluzione. Con la sua “rappresentazione della crisi” Eliot avrebbe praticamente formulato le direttive di un procedere oltre, e le avrebbe indicate in una dimensione nella quale l’individuo rappresenta non una intera civiltà soltanto ma l’intera umanità, e trova il senso del suo esistere dentro la storia, ritornando alla storia come al luogo in cui si opera la salvezza.
“The Wastle Land” è organizzato intorno a cinque momenti importanti e cioè intorno ai suoi cinque canti. Nella versione originale – pubblicata per la prima volta soltanto dopo la morte dell’autore, nel 1971, per le cure della seconda moglie Valerie Fletcher – il testo era di lunghezza doppia: Ezra Pound intervenne in tagli e montaggi vari che ne modificarono la struttura originale in maniera ed in misura assai considerevoli fino a dargli quell’aspetto di “descrizione di un mondo essenzialmente frammentario” nel quale non soltanto una generazione ma l’intero nostro secolo si è poi riconosciuto.
- La prima sezione porta il titolo di “The Burial of the Dead” – “Il seppellimento dei morti” e presenta per intero la filosofia ispiratrice del poemetto: la storia umana procede circolarmente; la primavera “Aprile è il più crudele dei mesi” richiama le coscienze sopite nella sepoltura dell’inverno alla consapevolezza ed alla sofferenza; la vita, così restaurata, torna ancora a passare lungo gli stadi dell’adolescenza, dell’amore, della maturità superstiziosa per la perdita di una chiara visione dei valori ed infine della vecchiaia.
- La seconda sezione, che porta il titolo di “A game of Chess” – “Una partita a scacchi” affonda la visione nei particolari della storia, nelle vicende di coloro che sono morti, muoiono e moriranno. Il passato e il presente uniti per mezzo dell’artificio della citazione: da Shakespeare a Ovidio a Virgilio a Webster. Il senso della “circolarità della storia”, prevalente nel poemetto, è derivato dal presupposto di presentare la storia contemporanea nei termini dei riti celebrativi del ritorno della primavera.
Tuttavia dalla seconda sezione in poi il poemetto accumulerà elementi raccolti dalla storia, in modo da offrire un’immagine della contemporaneità del tempo piuttosto che una circolarità, la necessità cioè del presente, la sua ineluttabilità che anticipa la “predicazione” poi costante del ricercare nel tempo la salvezza. Come vedremo dopo sarà l’unione delle spiritualità occidentale e orientale a provocare il lampo, il tuono, e la pioggia della rigenerazione, che appare nella sezione conclusiva, e affermerà una circolarità piuttosto metaforica e metafisica, una sorta di unione di “linearità oggettiva” e “circolarità mistica” che genera o almeno sembra di raffigurare la concezione della salvezza indicata. In questa seconda sezione, e nella prossima, i volti della folla disfatta della “città irreale” prendono un nome; la sofferenza, la miseria morale, il grigiore stesso della città acquistano una identità attraverso una equazione che scopre la coincidenza di figure precise del presente con figure precise del passato.
- La terza sezione porta il titolo di “The Fire Sermon” – “ Il sermone di fuoco” e ha presente in sé una novità che consiste nella presentazione che il canto fa di un primo svolgersi del dramma umano, terreno, in sublimazione spirituale. Ad esempio, lo “squallido episodio amoroso della canoa” si trova in diretto contatto con due poli dell’esperienza mistica occidentale e orientale, con Sant’Agostino “A Cartagine poscia io venni” e Buddha “Ardere, ardere, ardere, ardere” e poi ancora Sant’Agostino “Signore tu mi cogli / Signore tu mi cogli”. Questa citazione è un “preannuncio dell’incontro” che si prepara a dispiegarsi nell’aspettativa di rigenerazione che avrà luogo nella sezione finale, dove si consuma nello stesso modo implicito e mistico.
La quarta sezione porta il titolo di “Death by Water” – “La morte per acqua” e viene considerata dalla critica la “giusta sezione intermedia”, una sorta di intervallo o di “interludio”. L’oblio di Fleba il Fenicio nella sepoltura che tutto cancella e rinnova delle acque marine, la “luce diafana” della rappresentazione del suo scheletro levigato dalle correnti sottomarine, sono il momento necessario di pausa ad introdurre il “violento grido penitenziale” della sezione conclusiva. “Death by Water” non soltanto svolge la funzione formale di evidenziare la natura e la forza del pentimento (l’acqua che lava via la colpa), ma è anche necessario a giustificare una percezione sottile delle colpe umane.
“Fleba il Fenicio, morto da quindici giorni, Dimenticò il grido dei gabbiani, e il flutto profondo del mare E il guadagno e la perdita.”
Qui come altrove la citazione (da Shakespeare, La Tempesta) si somma agli altri elementi come il “mercante fenicio” al “mercante di Smirne” di “The Fire Sermon” al mercante di oggi. Tutto ciò conferma ancora la perenne contemporaneità dei valori e, insieme, la coincidenza delle due concezioni del tempo, circolare e lineare, in una immagine nella quale l’allontanamento da una origine, l’unicità di esperienza dell’individuo non è tale da negare il presupposto di una eguaglianza senza tepo tra gli uomini e del loro mondo morale.
Il poemetto termina con una sorta di libro profetico e chiude il ciclo di questa “storia al di là della storia”; “What the Thunder Said” – “Ciò che disse il tuono”, muove da presupposti paralleli a quelli di “The Burial of Dead” – “Il seppellimento dei morti” , ma la “condizione infeconda” dell’inverno non è ora più la “dolce stagione”, ma la faccia reale e non metaforica di una finale aridità.
“Colui che viveva ora è morto Noi che vivevamo stiamo morendo Con un po’ di pazienza
Qui non c’è acqua ma solo roccia Roccia e niente acqua e la strada di sabbia”
La roccia, però, che con la sabbia aveva sempre rappresentato nient’altro che l’aridità, rivela ora un significato che la sabbia non possiede, che la distingue, “evangelicamente opposto”, quello della solidità su cui si può edificare.
“Se vi fosse acqua E niente roccia Se vi fosse roccia E anche acqua E acqua Una sorgente Una pozza tra la roccia Se vi fosse almeno il suono dell’acqua.”
La primavera ( l’acqua) che all’inizio del poemetto, come abbiamo visto, era presentata in modo crudele ( “Aprile è il più crudele dei mesi”), procede lentamente verso una sua trasformazione in sorgente positiva di vita; ha cambiato il suo volto, da “rinnovatrice della vita biologica a dimensione mistica dello spirito”. Prima del crollo finale del poemetto, che accumula i suoi frammenti, la fecondità della desolazione si rappresenta nell’apparire della terza figura che procede tra i due viandanti (c’è qui un riferimento all’episodio evangelico di Emmaus).
“Chi è il terzo che sempre ti cammina a fianco? Se io conto, ci siamo soltanto tu ed io insieme Ma se io guardo innanzi a me per la strada bianca C’è sempre un altro che ti cammina a fianco”
…e anche nell’ispirazione delle cose all’inno, la nascita, o forse meglio la formazione di una qualche spiritualità della “desolazione sacrificale del deserto”,
“E voci cantare dal fondo di vuote cisterne e di secche fontane”.
E’ anche qui il Cristo la sorgente di questa nuova vita, sebbene Eliot ne evochi la figura con l’interposizione di un elemento laico. Le folle dannate delle città ricompaiono anch’esse, le città ritornano irreali, ma la dannazione apparente, alla luce della preghiera appena formulata (l’aspirazione alla pioggia), non è più cosi certa e categorica sebbene restino le rovine e resti la rovina in atto:
“Che è quel suono dell’aria Chi sono quelle orde incappucciate che sciamano Che città è sulle montagne”
E gli abitanti delle città, le cui anime erano apparse già dannate prima ora sono restituiti alla speranza:
“In questa squallida buca tra le montagne Al fioco lume di luna, l’erba fruscia”
Così prima di definirsi in cultura, civiltà e predicazione, la menzione dell’India, attraverso il suo fiume sacro, il Gange, determina la necessità di una purificazione iniziale per mezzo dell’acqua desiderata e tanto attesa, seguita poi da una seconda purificazione del fuoco “Nel guizzo di un lampo” – “…Ed ecco parlò il tuono”.
E’ a questo punto che, contro la critica distruttrice di un mondo condannato per il suo attaccamento ad una filosofia di vita del “profit and loss” e cioè del profitto e della perdita, il tuono annuncia appunto la sua chiara opportunità di salvezza, un’alternativa di vita, nelle parole della “saggezza vedica delle Upanisad” e cioè del “dà, compatisci, raffrena”.
Il caos con il quale alla fine il poemetto termina, caos che si risolve nell’indistinto dell’invocazione “Shantih shantih shantih” e cioè “Pace pace pace ineffabile”, fa per contro finire nell’ambiguità un vero processo chiarificatore che forse il poeta non era ancora disposto ad accettare ma che la stessa sequenza conclusiva non aveva mancato di formulare:
“Io sedetti sulla riva A pescare, con l’arida pianura dietro di me Riuscirò alla fine a mettere in sesto le mie terre?”
Questo interrogativo poi disatteso, sarebbe diventato centrale nella poesia successiva di Eliot. Da quel momento il tentativo e l’esigenza di “mettere in sesto le mie terre” sia nella contemporaneità che nella meditazione del passato divenne uno degli obiettivi principali del poeta stesso.
Autore Guerino Nisticó
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