Pubblicata in data : 9/5/2005
Italo Calvino è uno degli autori più importanti della letteratura italiana. È uno degli autori italiani più studiati all’estero, un autore “monumentalizzato”. Importante come scrittore e come saggista riesce ad essere sempre “conforme” alla propria produzione letteraria con un’adeguata autocoscienza poetica. Nasce a Santiago di Las Vegas ( Cuba) il 15 ottobre del 1923 e muore nella notte tra il 18 ed il 19 settembre del 1985 in un ospedale di Siena, a causa di un’emorragia cerebrale. “Sempre intento a discriminare il presente ed anticipare il futuro, è lo scrittore che forse, più d’ogni altro, con le sue importanti opere, ci ha accompagnato passo passo alla fine del secondo millennio”. Esordisce come scrittore neo-realista e, questo suo registro letterario iniziale non si esaurisce sicuramente con il suo esordio letterario.
Sono fondamentalmente tre le fasi più importanti che caratterizzano la sua carriera letteraria: 1) Una prima fase dove la letteratura è intesa come “impegno” e dove lo scrittore è un vero testimone del presente; una letteratura intesa come impegno politico all’interno della realtà industriale della sua epoca e della nostra epoca; 2) Una seconda fase che viene definita “fantastica” ( in netto contrasto con la prima ) che si colloca intorno al 1956, caratterizzata da un’attenzione calviniana verso le fiabe ed il mondo fiabesco con assunti tradizional-popolari; 3) La terza ed ultima fase , definita “combinatoria” e “post-moderna”, viene collocata intorno alla metà degli anni ’60 ed è molto diversa dalle precedenti soprattutto a livello teorico. Questa ultima fase è la più importante e viene consapevolmente “preparata” da Calvino stesso partendo dalla “fase fantastica” con costanti teoriche simili ma con scritture in ogni modo diverse. La sua narrativa è quindi in “continuo movimento fra le suggestioni del fantastico e la concretezza del reale, due componenti che non rimangono mai disgiunte, dove l’una è complementare dell’altra”. La fantasia è pertanto una “strategia narrativa, funzionale iperbole che dilata la realtà perché vi si possa leggere dentro più chiaramente”. Caratterizzanti, all’interno del suo repertorio stilistico e letterario, sono le ultime opere con le famose “lezioni americane” con le “sei proposte per il prossimo millennio”: LEGGEREZZA, RAPIDITà, ESATTEZZA, VISIBILITà, MOLTEPLICITà, CONSISTENZA ( in altre parole COMINCIARE e FINIRE ).
È sempre viva in Calvino la chiara volontà di fare e portare avanti una letteratura capace di stare al passo con i tempi, una letteratura vitale, soprattutto in un periodo in cui la stessa viene letteralmente messa in crisi e totalmente soffocata dagli “audiovisivi”. Calvino lavora infatti per superare questa crisi storica della letteratura contemporanea cercando di crearne “una” appunto leggiadra, molteplice, visibile ecc….
Una letteratura capace di attualizzare sempre il passato, una letteratura che pensa pertanto al futuro sulla base dei classici. Ciò significa anche, cosa detta e ribadita spesso anche a lezione, che la scrittura non è mai originale perché ogni scrittura è “riscrittura". ( NB: per Calvino anche leggere significa rileggere ).
Una letteratura che ha sempre presente nella sua scrittura, questo è un tema centrale in Calvino, la figura del destinatario-lettore al quale far pervenire qualcosa. Così lo scrittore riflette anche sul senso del suo mandato sociale e sul senso profondo degli obiettivi che si pone la scrittura. Attraverso un saggio del 1955 “Il midollo del leone”, testo che ha fatto storia nella storia delle idee, Calvino prende posizione contro il neo-realismo italiano e porta avanti la figura dello scrittore-leone capace di impegnarsi politicamente con la sua “aggressività letteraria” e con un “midollo” interno ricco di una linfa vitale nascosta. Non si fa “letteratura impegnata” parlando solo dell’attualità; ciò si potrebbe anche fare allontanandosi da questa ( si giustifica così la fase “fantastica” calviniana ). Nel suo saggio, il Nostro, analizza il problema del c.d. “personaggio a tutto tondo”, un personaggio centralizzato, usato soprattutto nei romanzi dell’800 e che il lettore riesce ad intravedere nella sua interiorità. La letteratura del’900 supera la tipologia di questo personaggio creando il c.d. “personaggio stilizzato”.
Pertanto, tra i mandati più alti che la letteratura deve porsi ci sono: 1) Intravedere sempre “l’uomo nuovo”, captare ciò che cambia nella realtà, cogliere i fenomeni che gli altri non riescono a vedere; 2) Condizionare la sensibilità e la morale di questo “uomo nuovo”. La letteratura deve anche porsi degli obiettivi educativi, non tanto nei “contenuti”, ma nei confronti dell’uomo e della donna, sotto il profilo dell’insegnamento che ci consente di capire i limiti ed i vizi della nostra vita e della realtà che ci circonda. La letteratura deve essere, per Calvino, educativa anche dal punto di vista esistenziale e deve cogliere gli elementi più importanti della vita e dell’attualità e spesso deve superarli. La letteratura deve porsi importanti obiettivi etici e morali. Non serve pertanto più il “personaggio a tutto tondo” perché la letteratura deve parlare sempre d’attualità, deve occuparsi del presente tenendo sempre presenti gli uomini e le donne.
Un altro saggio calviniano del 1959 “Il mare dell’oggettività” apre una critica verso il “presente” a lui contemporaneo, visto come età delle barbarie: “L’oggettività post-industriale è ormai dentro ogni coscienza umana e c’è poco “distacco critico”. Un’altra riflessione calviniana si occupa dell’insoddisfazione della carica epica d’ogni scrittore da parte dell’attualità e del presente. Ecco perché Calvino va oltre, superando la sua prima fase letteraria ed avvicinandosi sempre più al mondo del fantastico con la stesura di un’altra sua importante opera: la “Trilogia” intitolata “I nostri antenati”. Importanti a questo punto risultano: l’Azione, la Volontà e l’Eccezione.
Quando parliamo d’Azione parliamo di un’Azione epica, non immediata perché se fosse immediata sarebbe solo “pura rassegnazione”. Parliamo qui di “patos della distanza” e di “extra-località”, dove la vera azione dello scrittore risiede nel famoso “distacco critico”. Pertanto lo scrittore deve puntare fondamentalmente sull’Eccezionalità e non sull’appiattimento letterario, tipico invece del periodo post-moderno. Attraverso l’Eccezionalità, lo scrittore trova il modo per opporsi alla “consuetudine”. I racconti della “Trilogia” sono dei racconti non storici ma fantastici ed allo stesso tempo allegorici. Sono dei testi esplicitamente riferiti alla tradizione letteraria con un forte livello d’evocazione a tutta la “tradizione”. Sono dei racconti “intertestuali” ( cioè in sostanza fondati su altri testi), e vengono “giocati” sul “topos letterario” che deve essere inteso come un’importante chiave di lettura. I loro personaggi sono basati su topos letterari ben precisi ed alcuni anche su “fonti” quasi familiari e riconoscibili. Il livello “intertestuale” è affiancato da un secondo livello di senso, con assunti critico-polemici. Stiamo parlando del livello “metatestuale” ( “meta” = oltre ) e in altre parole di quel livello di senso che consente l’auto-riflessione. In Calvino, questo livello “metatestuale” è ironico ed il lettore, attraverso la lettura dei testi, si accorge della finzione del testo stesso ed è spinto alla riflessione ed all’auto-coscienza.
Come abbiamo visto, caratteristica importante dei racconti della “Trilogia” è il loro aspetto allegorico ed “araldico”. Parliamo di un’allegoria con un valore diverso da quella dantesca, di un’allegoria diversa dal simbolo. Infatti, la costruzione allegorica prevede un secondo senso , nascosto dietro quello letterale ma, quella calviniana non offre mai una chiave ultima di lettura. Non abbiamo, pertanto, delle chiavi di “lettura universali” ma delle “allegorie vuote”.
La “Trilogia” offre perciò dei significati allegorici nuovi, con una situazione araldica soggetta ad interpretazione, con un doppio registro basato sul passato e sul presente e con uno sdoppiamento, come nel caso de “Il Visconte dimezzato”, dell’uomo moderno con una tranquillità d’animo ormai persa e con un’irraggiungibile completezza dell’uomo. Ne “Il visconte dimezzato”, primo racconto di Calvino personalmente letto, troviamo un narratore-personaggio interno al racconto: il nipote dello stesso visconte. Salienti sono la fase iniziale e la fase finale della stessa storia, ricordando che per Calvino è molto importante la “Consistenza” dettata dal “Cominciare” e dal “Finire”, con un “Incipit” ed un “Explicit”. Questa ultima parte è caratterizzata dalle parole della voce narrante che dice: <Ma è chiaro che non basta un visconte completo perché diventi completo tutto il mondo>>.
Un’altra frase: << Ero giunto sulle soglie dell’adolescenza e ancora mi nascondevo tra le radici dei grandi alberi del bosco a raccontarmi storie>>…ci farebbe riflettere sul carattere “metatestuale” del racconto e sul fatto che tutto sia una vera finzione e dove la fantasia del fanciullo narrante rappresenti l’unica vera salvezza valida. Ciò è ancora confermato dalla frase finale . << Io non avevo visto nulla. Ero nascosto nel bosco a raccontarmi storie. Lo seppi troppo tardi e presi a correre verso la marina gridando: - Dottore! Dottor Trelawney! Mi prenda con sé! Non può lasciarmi qui, dottore! – Ma già le navi stavano scomparendo all’orizzonte e io rimasi qui, in questo nostro mondo pieno di responsabilità e di fuochi fatui>>.
Nel racconto de “Il visconte dimezzato” soprattutto l’inizio è caratterizzato da un livello “iperletterario” tipico delle migliori opere di Servantes con scene di guerre simili a quelle dei vecchi canoni tradizionali. Oltre a ciò è molto importante notare la sua “morale” finale con la sua visione dell’uomo contemporaneo che risulta, più che mai, un uomo spezzato e diviso, incompleto dove, a volte, la sua ricomposizione conferma proprio la sua “non composizione”. Pertanto, la “completezza” è data dalla contraddizione ed è una completezza non assoluta ma relativistica . “C’è quindi un’auto-coscienza nella consapevolezza della scissione interna della stessa coscienza”.
UN INTERVENTO “CRITICO” SU “LA STORIA” DI ELSA MORANTE:
“La Storia” è uno dei romanzi più importanti del novecento letterario italiano. È uno dei più grandi romanzi storici della più recente letteratura italiana e riprende, attraverso una consapevole scelta letteraria da parte dell’autrice, aspetti e passi teorici e pratici de “I Promessi Sposi” che è e rimarrà per sempre il “Romanzo storico” per eccellenza. Come ben sappiamo, il c.d. paradigma di genere del romanzo storico nasce con Walter Scott nell’età romantica e doveva contenere al suo interno una “certificazione documenta” con una struttura bifronte: “la storia” con la sua storiografia ed i suoi documenti e “l’invenzione” con i “personaggi”.
I critici letterari, contemporanei della nostra autrice, pensavano e sostenevano che l’epoca del romanzo storico fosse finita nel periodo risorgimentale con l’esplosione del verismo e della poetica verista che focalizzava i propri argomenti sulla realtà sociale del loro tempo e non più su “fatti storici”. Questo genere invece rinasce “ufficiosamente” proprio con “La Storia” di E. Morante e con “Il Gattopardo” di T. di Lampedusa e poi segna “ufficialmente” la sua rinascita con “Il nome della rosa” di Umberto Eco intorno agli anni ottanta e prende così il nome di “romanzo neo-storico”.
Perché romanzo neo-storico? Elsa Morante “decide a tavolino” di scrivere un “nuovo romanzo storico” basandosi su quello ottocentesco. Fa , pertanto, una scelta consapevole, intellettualmente voluta. Tema storico centrale del romanzo della Morante è la II Guerra mondiale .L’opera viene pubblicata tra il 1971 / 1973 e riprende, “anacronisticamente” ( queste le critiche mosse contro l’autrice ), alla poetica neo-realistica. All’epoca della Morante il neorealismo era passato di moda e dominavano lo sperimentalismo con l’impegno letterario sociale e diretto. La Morante, vera anticonformista della sua epoca, decide pertanto di impegnarsi su una storia drammatica, tipica del neorealismo, impregnata di “nostalgia ottocentesca”.
Abbiamo quindi una trattazione speciale di una “attualità” trattata con nostalgia del passato e con toni ed assunti popolari, quasi pedagogici e con obiettivi chiaramente educativi. Molto importante era infatti per l’autrice adempiere ai propri doveri di scrittrice impegnata con un mandato sociale preciso fondato su capisaldi morali , sociali e culturali capaci di “guidare ed educare il popolo e le masse”. Come ben sappiamo, tutto ciò si contrappone alla “narrazione impersonale” ed alla “scarnificazione del racconto” tipica nel verismo letterario novecentesco nel quale il narratore era praticamente “eclissato”.
Così quest’importante romanzo morantiano si presenta come un “romanzo apparentemente neorealista” con un narratore onnisciente che spiega, racconta, guida e giudica e quindi con un narratore in qualità di “guida morale” che si prefigge delle finalità culturali ben precise ( queste alla fine rappresentano le stesse finalità dell’autrice ).
Tutto ciò si lega alla precisa volontà, da parte dell’autrice, di una diffusione di massa del suo romanzo con una prima uscita pubblica in versione economica. Nonostante tutto, l’opera viene stroncata dalla critica marxisista dell’epoca con interventi polemici da parte di celebri critici letterari come Pasolini, grande amico della stessa Morante, Asor Rosa Luperini ecc….La loro critica si concentrava non tanto sulla “forma” dell’opera ma sulle sue “tesi storico-politiche” e sulla “ideologia” morantiana trattata ed argomentata attraverso il testo. L’autrice fu criticata di “naturalismo deteriore” ed il suo romanzo definito “qualunquista”. In contrasto alle critiche marxisiste si opponevano degli apprezzamenti letterari da parte di altre celebri figure che sottolineavano l’importanza dell’opera evidenziandone ed elogiandone la forma ed il contenuto, senza entrare nel famoso “discorso ideologico-politico” che caratterizzava la “polemica del tempo”.
“La Storia” fu subito un “Best-seller” con la vendita stratosferica, per i tempi, di circa 180.000 copie vendute. Riscosse pertanto un successo, da parte del pubblico, immediato che superava i “record” di uno dei suoi predecessori di genere ( Nb: “Il Gattopardo” fu venduto in 60.000 copie e poi “Il nome della rosa” Di Eco supera entrambi con più di 200.000 copie ).
La struttura del romanzo è “sofistica” ed”oculata” con 8 capitoli con un “antefatto” introduttivo. Gli altri sette sono dettati da una “cadenza cronologica negli anni”. I capitoli non hanno dei titoli precisi ma sono numerati. L’azione si svolge tra il 1941 ed il 1948. C’è una “cornice in corpo minore” formata dalla “macrostoria” con eventi politici, fatti ecc… ed una narrazione complementare impersonificata dalla “microstoria”.
Abbiamo una prima cornice intorno al 1900 ed un’ultima cornice intorno al 1962 con una fase conclusiva segnata anche dall’epigrafe finale “La storia continua…”. C’è, pertanto, una “dicotomia” tra la “macrostoria” e “microstoria”. Abbiamo la Storia, con la S maiuscola, titolo anche dell’opera con un sottotitolo che è esplicativo e condensa il messaggio politico-morale dell’autrice con le sue intenzioni critico-storiche. La Morante porta avanti e denuncia la “bruttura” della Storia non solo circostanziata alla II Guerra Mondiale, tema centrale dell’opera, ma di tutta quella Storia che dura da 10.000 anni e che da principio risulta un vero “scandalo”. C’è nell’autrice una critica tout court nei confronti di tutta la Storia ( è proprio per questo che viene anche criticata dai critici marxisisti ). La Storia è quindi un vero e proprio “scandalo” e ciò è testimoniato, nell’opera, da diverse citazioni intorno agli uomini / animali diventati cavie e vittime.
Caratteristica , infatti, molto importante del romanzo è “l’interstualità” con riferimenti precisi ad altri testi, con precise citazioni di Marx e Freud che non sono immediatamente riconoscibili attraverso la lettura. Questa “intertestualità” non è casuale ed è condotta all’insegna del “gioco” e del “divertimento” ma è nello stesso tempo intellettualmente voluta per motivi soprattutto filosofici. (NB: Infatti, “La Storia” è anche un grande romanzo filosofico ). Notiamo bene anche che questa “intertestualità” a volte è camuffata da espedienti e questo importante “dispositivo di dissimulazione” è dettata dalla critica del “narratore onnisciente”.
Abbiamo, all’interno del racconto diversi personaggi con un punto di vista “esterno alla storia” e con tre tipi di narratori: 1) E. Morante ( Paratesto ) ; 2) Narratore senza nome di sesso femminile ( atteggiamento strumentale da parte dell’autrice ) ; 3) Narratore supplente ( Wilma, una delle protagoniste ) che risulta all’interno del romanzo una vera “narratrice – testimone”.
Ci sono stati, in relazione a queste ultime cose appena trattate, dei critici che ostentavano nel sostenere l’onniscienza dell’autrice per diversi motivi dimostrati da alcuni esempi pratici: l’autrice non conosce, infatti, la Calabria in modo diretto ma è lei stessa che afferma ciò. Questa è invece, per la Morante, una “tattica” precisa per sfumare la rappresentazione. La Calabria e Cosenza sono equivalenti di tutto il Meridione italiano e sono in contrapposizione a Roma, luogo della guerra, dei veri e propri luoghi di fuga idealizzati.
Roma rappresenta il presente crudele della guerra , mentre la Calabria il passato e quindi il luogo dell’infanzia, un luogo non ancora civilizzato, rurale, un luogo più “vicino all’oltre”. Ciò propone, pertanto, una visione simbolica degli spazi capace di rafforzare il registro favolistica dell’opera. Ciò è pertanto un ossimoro e non una crisi dell’onniscienza perché trattasi di luoghi mitici dove il nostro narratore onnisciente, tipico nel ‘900 , è colui che si mette con la coscienza al di sopra dei suoi stessi personaggi.
Tra i personaggi spicca fondamentalmente, la figura di IDA che è il contrario dell’alter ego della Morante. Ida è una maestra di scuola elementare. Non ha interessi culturali e vive la sua professione come un’estensione della maternità. Non è assolutamente la voce narrante ma risulta la “cavia” principale del romanzo rappresentando la “crisi della femminilità”. Ida è rimasta una “bambina”, è una Donna “vecchia-bambina”. Ida è un modello di femminilità immaturo ed incompleto: non comprende il godimento sessuale ed è frigida.
Ha un ottimo rapporto con il padre ma quello con il marito è delicato e particolare. Ida è però un vero modello di maternità assoluta e ciò è un grande valore in lei. A volte assume, attraverso dei “parallelismi metaforici”, delle connotazioni simili ad animali ed infatti “muore come la pastorella maremmana”. Ida è pertanto un “modello di maternità animale”, un modello arcaico ed ancestrale e tutto ciò e per la Morante un grande valore positivo.
( NB: gli animali sono degli innocenti all’interno dello scandalo della Storia ). Ida è solo madre ed è un personaggio innocente perché vicina la mondo animale ma non è una donna vera e matura. Come possiamo notare la Morante denuncia ciò ma tutto è diverso da lei stessa , Ida è totalmente diversa dalla Morante e questo non fa altro che smentire quei critici che vedevano in lei l’alter ego dell’autrice. Altri personaggi importanti del romanzo sono Nino ed seppe che rappresentano la “speranza del mondo” . Sono una trasfigurazione della realtà della guerra e della drammaticità della vita. In loro si sedimenta la felicità perché protagonisti veri della loro “infanzia”.
Però, anche loro sono, nonostante tutto, delle cavie e delle vittime della Storia e sono destinati morire come tutti. Sono destinati a crescere ed a “cambiar volto”, come ad esempio Useppe, ma hanno un destino crudele che li aspetta. L’infanzia quindi è “un’isola felice” ma tutto, al pari della maternità, viene schiacciato dalla Storia e dalla sua crudeltà. Tra questi protagonisti ragazzi, spicca la figura di Davide che è il vero alter ego della Morante, uno dei personaggi più importanti del romanzo, l’unico vero portavoce dell’ideologia dell’autrice che è impregnata di pura “anarchia”.
Davide veicola pertanto il giudizio dell’autrice che denuncia la Storia come un vero scandalo da migliaia di anni ( Storia intesa anche e soprattutto come storia militare ). Questo non è un romanzo anti-fascista anche se ci sono delle critiche precise nei loro confronti. In questo romanzo, ed io direi attraverso questo romanzo, vengono condannate tutte le ideologie perché tutte sono ricollegabili alla violenza, alla sopraffazione, alle ingiustizie sociali che si incontrano nella realtà del mondo.
Dobbiamo anche sottolineare , da parte dell’autrice, una critica prettamente femminista che denuncia una “storia militare” al maschile che uccide la maternità, l’infanzia e tutto il mondo femminile. Una “Storia” al femminile sarebbe stata caratterizzata da pace, tranquillità e da cose opposte dallo “scandalo” maschile e maschilista. Tutto ciò riguardava comunque le tematiche critiche dell’epoca della Morante intorno al suo romanzo ed alla sua ideologia, e quindi al suo carattere anticonformista. Questo è quindi anche un romanzo di stampo femminista!
L’obiettivo , portato avanti anche dalla “narratrice senza nome”, è quello di credere che solo nell’anarchia , e con la rinuncia di tutte le ideologie, ci sarà una soluzione vera e completa. Nell’anarchia non esisterà quella Storia intesa come “storia maschile”, come “sede del poter” e quindi come “grande produttrice di guerre, di violenze, di ingiustizie”.
Un altro aspetto importante nel romanzo è la particolare concezione del “tempo”. Il tempo , caratterizzato dalla “fantasia”, è un “tempo dilatato” comunque diverso dal tempo della nostra “Macrostoria” interna al romanzo, dove i tempi e gli spazi sono determinati e crudeli. Useppe, ad esempio, non ha mai una vera nozione del tempo ed il racconto finisce con la “storiella” dello scoiattolo che perde la vera nozione del tempo e riflette sui fatti come se 300 anni fossero soltanto 10 minuti. Abbiamo pertanto delle “zone franche” ed alternative alla crudele realtà, delle vere “isole di vitalità”, abbiamo dei luoghi trasfigurati ed idealizzati utili a sfuggire alla logica crudele della Storia. ( ad es: l’infanzia, la maternità o la “follia” che è rifugio per Ida ).
Conclusioni: Una critica mossa da Fortini poi ripresa da Luperini.
La narratrice denuncia lo scandalo della “Storia”, i fatti ed i misfatti delle sue logiche crudele ma… Dove è l’auto-denuncia e l’autocritica? La denuncia della Morante è particolarmente “gridata” dove i “buoni” sono le vittime ed i “cattivi” sono i “politici della guerra”. Ma, alla fine, gli intellettuali dove sono, che posto occupano? Possono ritenersi "super-partes"? Come possono denunciare senza auto-denunciarsi? È infatti un errore per il Fortini il fatto che l’autrice “denunci il tutto standone fuori” , ponendosi pertanto al di sopra.
“LA CASA DEI DOGANIERI”:
Montale è riuscito a scrivere intense poesie per una o per un’altra donna senza ricorrere agli arcaici “lamenti dei poeti”, alle lo effusioni. Le ultime, le più affettuose e sofferte sono dedicate alla moglie morta. La commozione scaturisce qui da una espressione che quasi sfugge dalla cadenza del verso stesso ma…è ugualmente ricca di musicalità. Più esplicitamente essa si lega alla “venatura romantica” delle rime usate come “doganieri”, “pensieri”, “scogliera”, “sera”. C’è innanzitutto la c.d. malinconia dell’attacco: “Tu non ricordi…”: Qui c’è qualcosa di dimenticato mentre poi intravediamo e leggiamo nei versi una “casa desolata”, solitaria, “sulla scogliera”, una casa che attende (Nb: tutto è caratterizzato da un profondo senso di abbandono e di rimpianto) . il poeta qui non esprime un desiderio, non dice se ha un particolare sentimento. “Dice soltanto che egli è qui, tra le vecchie mura battute dalle onde, attaccato ad un filo di ricordi; ci vuol dire che non ha altro; le cose e le persone si allontanano nel tempo e nello spazio; essa nemmeno ci ricorda, infatti, quella visita alla casa vuota sul mare”. Tutto ciò rappresenta il tema della poesia. Infatti, per la donna-interlocutrice, quella famosa sera non è nemmeno un ricordo: c’è qualcosa di irrequieto in lei, uno “sciame di pensieri”; la “sosta nella casa vuota sul mare è già dimenticata”. Notiamo bene come il poeta ripete spesso: “Tu non ricordi….Tu non ricordi”.
Per il Nostro, invece, quel ricordo è un vero e proprio appiglio di vita. Anzi se notiamo bene dalle sue parole vi insiste ripetutamente: “Ne tengo ancora a capo…Ne tengo un capo”. Ciò vuol dire che è fortemente attaccato a questo esile filo; ciò significa che la vita non gli offre altro; che è molto difficile trovare per lui un nuovo corso di vita; è difficile trovare un “terreno di fiducia e di sentimenti”. C’è, invece, attorno a lui, il “muoversi impazzito della bussola”; non c’è pietà nelle cose e la “banderuola di rame sul tetto gira senza sosta su se stessa”. Importante è anche notare il fatto che il suono del sorriso di lei che sembrava prima lieto, ora, nel ricordo, appare molto più tenue e mesto. C’era precedentemente un “varco” , un varco di salvezza che i nostro protagonisti poetici cercavano ( NB: ricordiamo anche alcuni versi della poesia “Casa sul mare” : “Penso…che taluno sovverta ogni disegno / passi di varco”). Il poeta si chiede, infatti, se ci sia ancora, si domanda intorno al proprio desino. Ma, come intravediamo, attraverso la lettura della poesia, tutto ciò che rimane è il semplice sbattere dell’onda sulla costa che scende ripida. Tutto è ormai inesorabile. Per “lei” la sera, che fu molto per “lui”, ed è ancora – egli dice infatti: “la mia sera” – non esiste nemmeno nel ricordo. Non vale ormai nemmeno che egli “guardi chi va e chi viene”. Siamo in una condizione di triste vuoto ed è molto importante rilevare come alla “resa del moto di amarezza contribuisce il ritmo dissimulato” della poesia e “la sua cadenza molto studiata sotto l’apparenza di una prevalente libertà metrica”. ( c’è infatti in questa poesia, almeno da quel che sembra dalla lettura, un ritmo nascosto, una musica sottaciuta che avvolge ).
METRICA: endecasillabi, un settenario, con qualche verso ipermetro, rime e assonanze irregolarmente distribuite.
ANALISI, NOTE, PARAFRASI E COMMENTI:
Prima strofa: “Tu” : il poeta si rivolge alla sua donna, consapevole già che essa ha dimenticato il tempo felice trascorso con lui nella casa dei doganieri, collocata a strapiombo sulla desolata scogliera ai confini della vita. “desolata” : la deserta e aspra solitudine di quella casa, ora appare nel ricordo del poeta, ancora più desolata, perché essa attende ancora da quella felice sera lei, che in quella occasione vi entrò con le inquietudini dei suoi pensieri e si soffermò trepidante. “v’entrò / irrequieto” : questi particolari poetici mettono in risalto una figura femminile alquanto inquieta, “pronta a cercare il varco della salvezza”.
Seconda strofa: “Libeccio” : il vento di sud-ovest impetuosamente da anni si abbatte (sferza) come una sferza sulle vecchie mura di quella casa, il suono del tuo sorriso non è più felice come allora.
NB: Tutto è ormai perduto, tutto è inesorabile, è inutile dare un senso ed una certa continuità alla vita. C’è qui una consapevolezza che il passato è sempre perduto, spento nel nulla, come ogni cosa umana. Tutto ciò è una cruda realtà per il poeta. “la bussola” : questo risulta, come sappiamo, un tipico esempio di correlativo oggettivo montaliano. Infatti, qui la bussola è metafora per indicare la sorte ed il destino (dei dadi), l’azzardo e l’insicurezza del vivere, a cui nessun calcolo potrebbe dare un senso. Cioè ciò ci spiega che non c’è ordine e senso nel corso della vita. Infatti la volontà consapevole (la bussola) viene vanificata dal destino, ed anche il gioco della sorte che un giorno seppe promettere illusioni ora è stato sconvolto dagli eventi perché non c’è più fiducia nel futuro.
“Tu non ricordi” : per questa ragione tu non ricordi quella nostra felicità di un tempo : altre vicende hanno cancellato dalla tua memoria quel ricordo; mentre in me il filo del ricordo (di te) si avvolge su se stesso ( s’addipana ) , cioè, il ricordo di quella sera è come un filo che, dopo essersi sgomitolato, ritorna alla sua matassa, rientra nella 2matassa della memoria globale”.
Terza strofa: “Ne tengo”: del filo di quella memoria io tengo ancora un capo, avendo ancora la possibilità di rivivere quella esperienza. Ma, purtroppo, quella casa s’allontana di più nella memoria, tanto che, ormai, è appena visibile, in cima a quel suo tetto, la banderuola ( nb: altra metafora importante) che gira senza pietà, inesorabilmente cancellando ogni cosa, in balia dei venti.
NB: il ricordo non ha il potere di fermare il tempo, che deteriora e distrugge ogni memoria; quindi, essa rimane lontana ed isolata per sempre da lui, dal poeta. “Ne tengo un capo” / “sola”: è vero che io tengo in mano un capo di quel filo di ricordi, ma tu rimani sola, staccata da me, ferma nella tua incomunicabilità, tanto da non poter più essere immaginata lì presente col tuo respiro nell’oscurità della notte.
N.B : “I versi 12-16 suggeriscono un senso struggente di desolazione e di sgomento, un desiderio del poeta di vincere la solitudine, quasi una stoica volontà di vita e d’amore, desiderio che sarà inesorabilmente frustrato”.
Ultima strofa: “Oh l’orizzonte in fuga” : la vita di quel tempo, quella di quell’amore non è ormai che un miraggio, una illusione, cui la luce della memoria tenta invano di restituire una realtà; sembra un orizzonte in fuga, per l’effetto ottico di una nave petroliera in moto sulla linea in cui il mare ed il cielo si confondono, ed a bordo di essa si accende una luce isolata (rara).
“Il varco è qui?” : il poeta immagina che in quel fanale di bordo della petroliera si possa trovare un varco che gli consenta di fuggire dall’esistenza vana, un vero varco di salvezza. Ma in un disperato tentativo di riconoscimento dei luoghi del suo amore, riesce ad ascoltare soltanto la voce del mare che, ora, come allora,ripullula, ribolle e spumeggia : l’onda impetuosa che si frange sulla scogliera a picco sul mare ( C’è qui un forte richiamo alla realtà).
“tu non ricordi” : per la terza volta il poeta ripete la frase “Tu non ricordi”
E nell’aggiungere la “casa di questa mia sera” egli cerca di dimostrarci che vive ancora, ma in solitudine, di un ricordo ormai lontano, in uno stato di “smarrimento sconsolato”. DA “LE OCCASIONI”:
PREMESSE: Montale è stato considerato un “poeta arrogante” perché si era sempre reputato il “migliore”tra tutti i poeti. Eppure, nelle sue poesie, non si mette mai in discussione…anzi cerca sempre di nascondersi nel suo riccio. Il poeta è “arrogante” nel concepire la sua poesia come la migliore nel dire sempre la verità. La poesia è per Montale frutto di esperienze concrete, reali e veritiere. La verità sta nel luogo dell’artificio che è la letteratura. Goethe, Parini, ed altri grandi scrittori-poeti hanno costruito le proprie “opera d’arte” a partire dalle “occasioni” che si prestavano alla loro vita da uomini e poeti. Infatti, in Montale, ciò che conta innanzitutto, è il rapporto tra le occasioni e gli oggetti che danno vita, come sappiamo, al “correlativo oggettivo”. Le occasioni sono, pertanto, interne alla poesia perché il carattere dell’oggetto che esprimono è interno alla poesia stessa. “PAREVA FACILE GIUOCO”: ANALISI
Questa poesia che apre la raccolta “Le Occasioni” ( 1928-1939 ). Come la poesia “In limine”, è scritta in corsivo per il suo carattere introduttivo a tutta la sezione poetica montaliana de “Le Occasioni”. È composta da tre quartine di ottonari con versi parisillabi. La contabilità dell’ottonario, in questi versi, di solito è perduta. I versi 1 e 4 rimano, il 2 ed il 3 no. I versi 5 e 7 contengono una rima imperfetta ( -unto , -unta ). I versi 9 e 12 rimano perché la vocale tonica e le lettere successive sono uguali, inoltre questa è una rima ipermetra perché contiene una sillaba in più. Sia la prima che l’ultima strofa hanno la stessa struttura. Nel verso 3 : “aperto” rima con “Malcerto e certo”,“Tardo” e “arduo” , “scorgi” e “sporgi” sono parole in rima.
Le parole questa” e “finestra” hanno uno stretto rapporto sintagmatico perché sono spezzate dall’enjambement e si succedono una dopo l’altra. Il “balcone” crea il collegamento tra l’esterno e l’interno ed è il punto di vista che permette di gettare lo sguardo.
“Mutare il nulla” : atteggiamento nichilistico.
“spazio che m’era aperto” : perdita della libertà, perdita dello spazio della libertà, annichilisce la speranza.
“pareva facile” : sembrava fosse una cosa alla portata di tutti.
“fuoco” : passione, fede, fede nel credere.
“certo tuo fuoco” : il fuoco è quello della certezza, l’ardore della fede.
“tedio malcerto” : scetticismo annoiato.
“pareva” : il verbo al passato crea un passaggio da un tempo passato, ad un tempo passato prossimo.
“ora…tardo” : paradigma temporale cui si riferisce “ora ho messo insieme ogni mio tardo motivo”. Ha ricongiunto alla situazione nichilista tutto ciò che gli stava accadendo in quel “motivo”
“Nulla” : deve essere ricollegato all’inizio della strofa.
“arduo” : si oppone a facile giuoco -“Ora che congiunto tutto diventa più arduo”.
“spunto” : si spezza.
“l’ansia di attenderti vivo” : la vita che passa nell’attesa si è spenta nel nulla (elemento positivo).
Prevale l’aspetto minimale : la passione viene ridotta ad ansia. La parola ansia indica la capacità di avere un rapporto con la sua vita.
“attenderti” : legato all’attendere, colui che attende, che si presta.
“sola” : si riferisce alla vita che dà barlumi, non alla donna. La vita che dà barlumi si riferisce ad un fatto della sua esperienza banale che nella poesia viene pubblicizzata : “la sola vita che tu scorgi e quella che dà barlumi”. La vita che dà barlumi è un tipo di vita “che da solo non scorgi”, è la vita che si manifesta grazie alla luce ed all’illuminazione. Il barlume, infatti, si oppone alla luce, si oppone alla vita; il poeta ha ridotto il suo amore a niente, lei ha bruciato la sua fede per colpa del poeta. Tutto ciò è una conseguenza del processo di annichilimento che ha ridotto il poeta a nulla e di conseguenza anche la donna è portata al nulla.
“tu che hai subito questo da me ti stai dedicando alla vita sporgendoti da questa finestra” : il balcone è un punto di passaggio tra il poeta ed il lettore, cioè tra la vita e la poesia. Il lettore è colui che porta i sentimenti di fede, il protagonista non è né la donna, né il poeta, ma il lettore. Se il lettore dovesse vedere solo barlumi, è solo colpa del poeta che non è riuscito a dare la “giusta illuminazione” . il lettore è come se si trovasse in una finestra che non ha luce. Il buio giustifica il poeta che non dà nulla e il lettore che non ha nulla.
“BUFFALO” : ANALISI Questo titolo funziona, rispetto al componimento, come funzionano i titoli delle opere figurative moderne. “Buffalo” è un titolo che non ha niente a che fare col significato che non ci aspetteremmo. Montale dice << Precipitavo nel limbo dove assordano le voci del sangue e i guizzi incendiano la vista come lampi di specchi>>.
Il verbo “incendiare” è un verbo d’immediata evidenza; “la vista” invece, è un’astrattezza. Abbiamo l’astratto (la vista) e il concreto (incendiare) . il “guizzo” ha un’immediata evidenza fisica. Montale tocca qui la sfera del concreto, ma in maniera particolare, sfiorandola. Una volta dichiarò <>. Quest’affermazione ci riporta con la mente ad una delle prime lezioni e precisamente ad Edgar Allan Poe che, dice, a proposito del suo poemetto “Il corvo” : <>.
<< i guizzi che incendiano la vista>> : Pirandello afferma una cosa che si collega a Montale…..parlando appunto di “una strana sensazione, come di un guizzo, un qualcosa che sfugge alla vista”. Abbiamo quindi “guizzi veloci come lampi”.
Guizzi / lampi: parallelismo molto forte. Guizzi / lampi / specchi : E’ questo il miracolo invocato da Montale. Lampi di specchi, ovvero, riflessi abbaglianti. Montale è abbagliato. Tuttavia, descrivendo la sua esperienza, Montale sta puntando verso un altro scopo. Egli, infatti dice <>. Monatale supera la propria ristrettezza. È però essenziale che il poeta trovi il modo di interessare i lettori. Come può far questo? Ciò che rende d’interesse universale questa situazione montaliana è il suo presentarsi come un enigma. Rimaniamo catturati dall’enigma, perché Montale costruisce alcuni oggetti ed alcuni immagini che hanno la virtù di restare impresse nella mente del lettore, così come fa il pubblicitario. La bravura di Montale consiste nel suo stile inconfondibile che riesce ad imprimere meglio un sigillo in quello che tocca. Montale ottiene questo svuotando la poesia da tutto ciò che non è “ lo stile”; si parla di "stigmatizzazione" del testo montaliano.
Situazione impenetrabile della poesia soprattutto alla fine dove si parla di un velodromo parigino che si chiamava “Buffalo”. Il poeta ci ha fatto compiere un viaggio:
prima parte: cesura – miracolo seconda parte : “Il nome agì”
Frase chiave della poesia: “Mi dissi : Buffalo! – e il nome agì” Chiave magica , illusione del nome che agisce . Appena detta la parola “Buffalo” succede subito qualcosa. La poesia risulta “comunicazione con elementi quasi percepibili al lettore”
A questo punto dobbiamo parlare di:
a) PRE - GRAMMATICALITA’ CONTINI sostiene che Pascoli riesce ad esprimersi prima della grammaticalità, ad esempio con onomatopee a prescindere dalla stessa grammatica. Parliamo pertanto di “FONOSIMBOLISMO” dove i suoni suggeriscono i significati delle parole a loro corrispondenti.
b) POST - GRAMMATICALITA’ ES: “Il nome agì” …..Esistono delle situazione espressive estranee al vero significato grammaticale che suscitano solo delle suggestioni che vanno oltre. Tutto ciò è fatto da intenzioni che il lettore deve percepire. Si tratta di un “alone” straordinario di suggestioni di ombre che vanno oltre il significato della parola.
Note:
“Buffalo” ( origine americana ) . Però il suo “alone” parte anche dalla non comprensione della sua incerta appartenenza. Come sappiamo, si potrebbe leggere in modo diversi: 1) Buffalo è una parola che in italiano non esiste; 2) Biuffalò è il melodramma parigino; 3) Buffalo potrebbe essere una città statunitense e siccome dopo questo componimento c’è una poesia che s’intitola “Lindau”, si potrebbe anche pensare ad un ciclo poetico dedicato forse a nomi stranieri.
Ci sono in questa poesia diversi “TERMINI TECNICISTICI”, delle parole non poetiche come : “autocarri” , “megafoni”, “pista”
“Mi dissi : Buffalo! – e il nome agì” : punto di svolta nella poesia, salto di qualità tipico nella poesia di Montale. Tutte le poesie si fondano su una suggestione o illusione, è costitutiva nelle poesie.
La seconda parte della poesia inizia con “il nome agì”
“Precipitavo nel limbo” : Il “Limbo” finale si accosta “all’inferno iniziale” ( Situazione dantesca) ;
“voci che assordano” voci che non hanno suoni . però nel limbo c’è silenzio, ci sono voci pacate. Ciò mette in risalto il “carattere metaforico” di questa circostanza dove sono diverse le contraddizioni che continuano a moltiplicarsi ( ad es: “dolce inferno” )
Autore Guerino Nisticó
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