Pubblicata in data : 10/5/2005
Nella lirica della seconda metà del secolo, a fianco della prosecuzione del modello arcadico, si intrecciano suggestioni e tendenze contrastanti, legate soprattutto, come abbiamo visto anche a lezione, ai rapidi mutamenti dei gusti e delle mode del tempo; i confini tra l’una e l’altra sono sfumati, e spesso le spinte apparentemente più contraddittorie convivono nell’opera dello stesso poeta. Infatti, la poesia, assume ora una tendenza didattica e didascalica con delle caratteristiche legate moltissimo all’idea cartesiana della poesia intesa come vera e propria “figlia della scienza”, molto orientata alla divulgazione scientifica ed alla trattazione di temi filosofici e morali.
Nascono così anche poemetti dedicati ai temi più vari, dal “baco da seta” alla “coltivazione del riso”, dal “commercio” alla “origine delle idee” ecc… La trattazione poetica di temi totalmente estranei alla tradizione letteraria obbliga gli autori all’inserzione di termini tecnici su uno sfondo arcadico e classicistico o all’uso d’ingegnose perifrasi che integrano i nuovi concetti nel vecchio linguaggio. Un altro aspetto innovativo, importanti per gli sviluppi successivi della nostra letteratura, è l’affinamento nell’uso dell’endecasillabo sciolto, tipico del genere didascalico e particolarmente utilizzato nell’epistola in versi, forma poetica di larga fortuna nel Settecento.
Nell’ambito di questi tentativi di sintesi tra le tematiche nuove e la lingua della tradizione poetica si collocano le “Odi” civili di Parini, esponente di spicco della “rivoluzione letteraria” dell’epoca. Ovviamente, a questa maggior diffusione contribuivano moltissimo i nuovi mezzi d’informazione ed una più rapida circolazione delle idee, dovuta allo sviluppo della tecnica e all’affermarsi sempre più incontrastato della nuova classe al potere, cioè la borghesia, mercantile del Settentrione, terriera nel Meridione. Vediamo quindi una nuova figura di “intellettuale”, molto impegnato nelle c.d. “riforme” ed in una nuova organizzazione culturale della vita civile.
Nasce così la figura di un intellettuale capace di metter in primo piano la sua funzione civile, che si era imposto il dovere del rapporto intrinseco tra cultura e società, tra cultura e popolo da educare. Prima, i principi illuminati tendevano ad asservire ai propri fini la cultura, la scienza, l’arte, limitandone le conquiste e i progressi ai propri interessi politici ma tale operazione poteva riuscire solo in parte perché l’intellettuale reagiva all’ambiguità del principe, il quale, non era più in grado di fermare quel cammino della borghesia che egli stesso aveva stimolato. Questa importante “reazione” dell’intellettuale porterà a posizioni più avanzate, più giacobine (come si diceva appunto allora), fino alle estreme conseguenze sociali e rivoluzionarie.
Negli stessi anni si fa sentire anche nella poesia italiana l’egemonia europea del gusto neoclassico: ricorso frequente a riferimenti mitologici; lessico aulico ricco di grecismi e di latinismi; gusto dell’allusione dotta e della citazione; preferenza per le costruzioni sintattiche ampie e solenni; accentuazione della distanza tra la lingua della poesia e quella della comunicazione pratica. Parliamo, pertanto, di scelte stilistiche orientate alla sublimazione ed all’idealizzazione degli argomenti affrontati, che si piegano ai più diversi usi: dalla poesia d’occasione a quella didascalica, dalla rappresentazione di eventi storici alla descrizione di luoghi e di ambienti.
Grazie a questa disponibilità il “repertorio di motivi e di immagini” del neoclassicismo ritorna in quasi tutti gli autori del secondo Settecento, e vi attingono anche due poeti dalle personalità diversissime come Parini ed Alfieri. Negli ultimi decenni del secolo il gusto neoclassico si contamina anche con le c.d. “suggestioni preromantiche” della poesia inglese e tedesca, introdotte in Italia da numerose traduzioni tra cui primeggia quella dei “canti di Ossian”. La volontà di dar voce agli impeti, in questo momento particolare della letteratura italiana, ed alle malinconie ed alle cupezze di una “sensibilità primitiva”ed estranea alla tradizione letteraria italiana impone un’opera di radicale rinnovamento linguistico. Così insieme ai paesaggi notturni e desolati, alle passioni tempestose, alle riflessioni malinconiche sulla vanità della vita, entra nella nostra lirica un nuovo stile poetico, lontano sia dal petrarchismo dell’Arcadia sia dai canoni del neoclassicismo, che avrà una grande influenza sui successivi sviluppi del linguaggio poetico passando per Alfieri fino a Foscolo.
Se nei campi della lirica e della prosa saggistica la letteratura italiana riesce ad importare con una certa tempestività le suggestioni che vengono dall’Europa, nel campo della narrativa il suo ritardo è macroscopico. Mentre già in Francia, Inghilterra e Germania nasce il “romanzo moderno”, genere di straordinaria diffusione, modellato sulle esigenze e sui gusti del nuovo pubblico borghese, gli scrittori italiani si dedicano a forme narrative definite arretrate, o comunque di minor respiro. Le opere più interessanti per il lettore dell’epoca sono quei libri di memorie e le autobiografie, che offrono una rappresentazione spigliata e vivace della società e della cultura del tempo. Infatti, le opere più interessanti del Settecento italiano sono sicuramente le autobiografie. Opere importantissime che ci presentano la vita degli autori come vicende esemplari di letterati in conflitto con una società indifferente ed ostile.
Gli intenti didascalici, la tendenza a ricondurre la propria esperienza ad un modello che abbia un significato di carattere generale tendono a scomparire negli scritti autobiografici della seconda metà del secolo. Infatti, ciò che ora interessa maggiormente è l’individualità unica ed irripetibile del singolo, le caratteristiche psicologiche “naturali” e spontanee, che vengono prima delle regole e dei condizionamenti sociali. Rousseau scriveva nelle sue “Confessioni”( opera definita tra le più ardite e profonde autobiografie del Settecento!) : “Mi accingo ad un’opera senza esempi e senza imitatori…../ Voglio mostrare ai miei simili un uomo in tutta la verità della natura, e quell’uomo sarò io, io solo…./ Non sono come alcun altro da me conosciuto ed oso credere di non essere fatto come alcun altro che esista”.
Questo “scavo” negli aspetti più profondi e nascosti del sentimento individuale, che attribuisce un’importanza inedita alla “rievocazione degli anni della giovinezza come momento privilegiato in cui le reazioni del cuore non sono state imbrigliate dall’educazione”, è il punto più alto ed importante di quella famosa “scoperta dell’individuo” a cui tende tutta la cultura del c.d. “Settecento maturo”, tra illuminismo e pre-romanticismo. È molto importante capire tutto ciò partendo anche dalle “cause letterarie e culturali” che avviarono quest’importante processo e d’emancipazione dell’io-poetico.
Come abbiamo visto bene a lezione, grazie all’Arcadia e fino a Leopardi, i poeti italiani cercano di mettere insieme una lingua comune che si basi fondamentalmente su una base classica ben precisa capace di andare oltre il petrarchismo e di recuperare tutti i valori dei classici latini e greci. È METASTASIO il primo a rilanciare questo nuovo modo di fare letteratura, proponendo una poesia capace di tornare all’antico ed alla verità con la vera ed autentica riscoperta dell’io in tutta la poesia prodotta. Parliamo quindi di una nuova dimensione personale con una nuova e forte connotazione della mascolinità. Parliamo di una poesia forte con un io-poeta che ha un’idea ben precisa e che si batte per qualcosa e come abbiamo visto e constato spesso, il primo a fare veramente ciò è PARINI. Tutto ciò viene realizzato attraverso un artificio. Infatti il poeta non è più se stesso, adotta una “maschera” cercando di combattere l’ingiustizia ed il disordine.
Quando dice “Io”, il poeta, dice “Io popolo”, “Io intellettuale”, quindi si piegherà mai poiché sono la letteratura e la poesia a non piegarsi. Pertanto il c.d. “Io-lirico” è la consapevolezza della voce poetica, la proiezione e l’equivalente, in termini poetici, di quell’ego che spinge alla poesia. L’ io-lirico ce l’hanno solo quei poeti che “riversano nella poesia” e cioè dove il poeta può contemplare se stesso, mettendosi in discussione, esprimendosi in tutti i sensi.
Così, nel senso moderno del termine in questione, l’io-lirico non compare né in Omero, né in Dante anche se sono stati dei grandi letterati. Alle origini della nascita dell’io-lirico c’è la fragilità moderna del poeta stesso e dell’impossibilità della poesia, della reale constatazione del fatto che non esiste più una poesia originale che non dipenda dall’antico ( Io lirico + x = Io + “Io” …dove “Io” diverso dal “Non Io” ).
Il classicismo di quest’epoca letteraria, in primis quello di Parini, si caratterizza per la sua difficoltà ed è molto diverso da quello dei poeti dell’ARCADIA. Una difficoltà che nasce dall’ambizione di riportare la poesia ai fasti dell’antichità ed è Parini stesso, il primo a capire il vuoto incolmabile delle epoche letterarie precedenti e, come abbiamo più volte visto a lezione, è anche da qui che nasce la percezione del c.d. “Io-lirico” e/o “Io-poetico”.
Autore Guerino Nisticó
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