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.: PASOLINI E I PROBLEMI DEL “SUO MONDO”

 

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Poesia, politica, religione, omologazione socio-culturale delle masse e dei giovani

L’adesione appassionata ed ortodossa di Pasolini al marxismo non ne fa un “materialista tout court”. L’opera e il pensiero di Pasolini risultano anzi profondamente impregnati di religiosità, in un senso generale, sostanziale ed ancestrale. La realtà stessa è sacra per Pasolini, indipendentemente dalle forme di culto che essa può assumere o che assume nel corso della storia, le quali in genere si rivelano più strumenti di dominio e di coercizione sociale, piuttosto che assolvere alla loro funzione originaria, quella di celebrare quotidianamente la realtà nei suoi aspetti più veri e l’uomo nella sua dimensione essenziale e carnale. Questa dimensione assolutamente sacra della realtà sta davvero alla base del pensiero e dell’opera di Pasolini e consente di dare una spiegazione, non certo esaustiva ma sicuramente fedele, a numerosi e celebri aspetti della sua produzione: l’adesione anche stilistica al realismo (è stato definito il più autentico erede del verismo verghiano), la partecipazione attiva al movimento contemporaneo del neorealismo ( malgrado la profonda diversità ideologica rispetto ai principali esponenti di questa corrente ), la conoscenza profonda del mito nei suoi aspetti antropologici e linguistici; ma la dimensione sacra della realtà risulta soprattutto alla base della sua visione politica e sociale, nella quale Pasolini scorge ( e della quale denuncia violentemente ) l’allontanamento dai valori autentici della vita in nome di un progresso mostruoso e perverso che mira infrangere il rapporto tra l’uomo e la natura.
La chiesa cattolica è fondamentalmente per Pasolini un’istituzione positiva che non rappresenta la religiosità dell’uomo nei suoi aspetti più veri, ma che contribuisce, ed in modo determinante, alla degenerazione dell’uomo, allontanandolo dai suoi istinti, attraverso un’idea di peccato che ne umilia quotidianamente la carnalità. A queste considerazioni di carattere generale va aggiunto il ruolo celebrativo e conservativo di progetti politici internazionali, tendenti alla snaturalizzazione dell’uomo contemporaneo, di cui Pasolini coglie la tragica attualità, che lo porterà all’abiura come stile di vita e al perseguimento palese di valori “altri” da quelli perseguiti o realizzati dalle masse occidentali del suo tempo.. E tuttavia, il rapporto tra Pasolini e il cristianesimo, in particolare con la figura di Cristo, non è altrettanto immediato, ed anzi può e deve essere letto e interpretato in modo assai più complesso e profondo. Soprattutto nella prima parte della sua produzione poetica, Pasolini esalta la figura di Cristo, vista e concepita già criticamente rispetto a come essa viene assimilata o digerita dai suoi contemporanei. Cristo è portatore di valori effettivamente eterni, reali e concreti, storici e terreni, in realtà carnali e profondamente umani.
Non è infatti casuale la carnalità e, perché no, la sensualità, di cui la figura di cristo risulta permeata nelle prime opere poetiche Del Nostro e nello stesso Vangelo secondo Matteo, come risulta assai significativa l’ultima parte della raccolta “L’Usignuolo della chiesa cattolica” (La scoperta di Marx), nella quale Pasolini realizza un fortunato quanto unico confronto tra Cristo e Marx, le cui figure possono essere considerate, per molti versi, alla luce di un terreno comune. La riscoperta, la messa a nudo della sensualità dei corpi, della loro essenzialità, può infatti essere compresa alla luce dell’idea di FECONDITA’, anzi, di fecondazione, nel senso più concreto e letterale del termine. La fecondità implica necessariamente sacrificio, il proprio sacrificio. Ma sembra essere, questo, un destino al quale l’uomo ben difficilmente può sottrarsi, nel momento in cui sceglie di vivere la vita per quella che essa è. Sembra quasi di ribadire echi di filosofia nietzscheani, per la verità mai esplicitamente o direttamente richiamati dal Nostro: “una sola cosa comprendo: che sta per morire l’idea di uomo che compare nei grandi mattini” (Nuova poesia in forma di rosa”).
L’uomo e tale in quanto fecondo, proprio in quanto produttivo, ma nel senso concreto, cristiano, strutturale e marxiano del termine. La fecondità è dunque sacrificio, ma il sacrificio è al tempo stesso santificazione e risulta inevitabilmente legato alla rinascita. Pasolini è dunque nemico della chiesa cattolica, ma è profondamente consapevole di essere giunto alle radici stesse del cristianesimo, di essere profondamente cristiano, nel momento stesso in cui si accorge non solo di averne colto il segreto ma di realizzare valori effettivamente cristiani, non soltanto attraverso la scrittura, ma soprattutto attraverso la vita quotidiana e il sacrificio personale.
L’Usignolo della chiesa cattolica, letto in questi termini, celebra effettivamente la venuta di Cristo come salvatore, nel senso del sacrificio fecondo e salvatore di Cristo, che implica una rinascita. Quello stesso cristo che Pasolini, successivamente, ma al tempo stesso coerentemente con la sua accezione concreta e terrena di cristianesimo, andrà sempre più ad identificare con sé stesso e con la propria esperienza di vita.

Gli ultimi anni della vita e della produzione pasoliniana sono segnati da un profondo, palese e, come è stato addirittura definito, esibizionistico,distacco dal comunismo ufficiale, in quegli anni incarnato dalla politica nazionale del PCI, caratterizzata dal compromesso storico e quindi da una significativa svolta tendente a comprendere, se non proprio ad abbracciare, gli incipienti ma ben visibili valori del liberalismo occidentale, e quindi a realizzare un’alleanza, per quanto ancora tacita o trasversale con il centro cattolico. Questa svolta venne interpretata dal nostro autore in senso fortemente negativo, anche perché Pasolini, andando al di là delle proteste ancora “esteriori” dell’estremismo sessantottino, intuiva l’inizio di un processo storico che si sarebbe rivelato fagocitante e inarrestabile, al punto di rendere irriconoscibile l’antica matrice realista e marxiana del PCI, ed anzi da farne una forza politica e sociale di non secondo piano addirittura nell’affermazione dei nuovi valori neocapitalistici, anche se mascherata, e in maniera demagogica e perversa, sotto le spoglie di movimento democratico ed ispirato alla giustizia sociale.
Anche e soprattutto sotto il profilo politico, dunque, Pasolini apparve ai più come una voce isolata, addirittura paradossale, nel momento in cui affermava ( nei suoi articoli, nelle sue opere e nei suoi interventi pubblici e televisivi) la nascita di un nuovo sistema, non solo politico ma soprattutto sociale, tendente a trasformare l’uomo contemporaneo in senso degenerativo. I valori ideali e razionali primeggiano sulle istanze concrete e istintuali, la trasformazione economica è tale da porre fine al mondo contadino per trasformare la società in maniera da renderla sempre più, e indissolubilmente, dipendente dai processi industriali e capitalistici.;puntualmente (come Pasolini “profeticamente” arriva a prevedere”), nel corso degli anni sessanta si consuma quella adesione totale e inconsapevole degli italiani ai valori neocapitalistici, al punto che in un solo decennio essi non sono più in grado di ritrovare le loro origini, la loro matrice naturale e culturale: la matrice contadina, appunto. Tutto, Pasolini ha previsto, la degenerazione culturale, l’assoggettamento al consumismo, l’appiattimento ideologico,la corruzione dei partiti politici, addirittura il passaggi alla seconda repubblica, intesa come “evoluzione” dei movimenti politici italiani all’interno del sistema neocapitalistico, il totale assorbimento, insomma, degli italiani rispetto ai valori economici e politici del neocapitalismo, la globalizzazione intesa soprattutto come perdita della propria memoria storica, della semplicità del vivere, della negazione e della vergogna della propria carnale essenzialità e infine, se si vuole, del proprio sentimento di identità nazionale di matrice spiccatamente contadina.
Davanti a queste riflessioni profondamente personali e certamente incomprensibili ai più, Pasolini affronta la figura di Antonio Gramsci, che, come emerge dalla sua opera, costituisce non solo e non tanto un punto di riferimento letterario e culturale, quanto una dialettica intima, un discorso tragico ed appassionato con la propria interiorità.
Alla luce di queste considerazioni, Gramsci costituisce per Pasolini una passione giovanile, viene cioè riconosciuto come punto di riferimento culturale, ancora vivo, ma solo inizialmente, nelle istanze politiche del comunismo italiano, almeno fino ai primi anni sessanta. E’ il Gramsci dei Quaderni dal carcere, delle lunghe riflessioni sui mutamenti economici della società italiana, comunista per vocazione ed antifascista soprattutto in quanto nel fascismo riconosce concessioni troppo ampie ed incondizionate al capitalismo di tipo anglosassone. E’ il Gramsci che riconosce e profetizza quel profondo mutamento economico e culturale destinato a trasformare per sempre l’identità del popolo italiano, la sua concretezza, il suo realismo, il suo buon senso basato sulla dimestichezza con i processi naturali. Ma è anche il Gramsci punto di riferimento del tutto e meramente esteriore per il comunismo italiano, il Gramsci misconosciuto e storicizzato, certamente mistificato ma anche ignorato, per quanto riguarda la sostanza autentica del suo pensiero.

DALLE SUE POESIE…
<<…Vivo nel non volere del tramontato dopoguerra: amando il mondo che odio – nelle sue miserie sprezzanti e perso – per un oscuro scandalo della coscienza >>;
<< Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere con te o contro di te; con te nel cuore, in luce, contro te nelle buie viscere…[…] Come i poveri povero, mi attacco come loro a umilianti speranze, come loro per vivere mi batto ogni giorno. Ma nella desolante mia condizione di diseredato, io possiedo: ed è il più esaltante dei possessi borghesi lo stato più assoluto. Ma come io possiedo la storia, essa mi possiede; ne sono illuminato: ma a che serve la luce? >>


Autore : Fuser



Ultimo aggiornamento di questa pagina : 29/4/2005



 

 

 

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