In chiesa l’invito alla pace affidato alle donne

 

Inserita il 30/03/2008

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Il perdono del boss


di ANDREANA ILLIANO

PERDONO. Per tre volte il parroco della piccola chiesa di Papanice pronuncia la parola perdono.
È questa la volontà del boss, Domenico Megna, a cui hanno ammazzato il figlio Luca, sabato
scorso, e ferito gravemente la nipote. E don Angelo Elia nell’omelia della messa per i sette
giorni del giovane, crivellato dai proiettili, sottolinea il termine, con solennità. Il boss chiede
tregua, non vuole vendetta per gli assassini di suo figlio. Il parroco lo dice nell’omelia, dopo
aver avuto tra le mani una lettera, scritta da Rosita Megna, la figlia del boss.

Mico Megna ha affidato il suo appello di pace a due donne: la compagna, che l’ha trasmesso al parroco di Papanice, e alla figlia, che l’ha annunciato in una lettera aperta. In chiesa, l’invito è sulla bocca del prete. E le donne - messaggere – siedono sull’altare. Sono le due sorelle di Luca e sua moglie, minuta, con gli occhi spenti, giunta in chiesa su una carrozzella. Ferita ad una gamba, durante l’agguato. E poi c’è Tina, la compagna di Mico, l’unica vestita di nero. A lutto. Inflessibile.

Papanice è deserta. Blindata dalle forze dell’ordine. La chiesa di San Pietro e Paolo è gremita. Tanto che manca il respiro. Intensa la tensione. Ma senza scene strazianti, senza urla. Il dolore è composto. Orgoglioso. Fuori con la coppola in testa, come un’immagine della Calabria d’altri tempi, ci sono gli anziani. Dentro la chiesa invece oltre alle donne sono centinaia i ragazzi, gli adolescenti. Tutti uguali, gelatina nei capelli, jeans e giubbotto griffato. Hanno occhi fissi e lucidi. Sono venuti per Luca, che secondo la Dda teneva le fila della cosca, essendo il padre detenuto.

Ed è uno di loro a ordinare ai fotografi di andar via: «Rispettate il nostro dolore. Niente foto».
Subito dopo inizia la messa. «L’ira di Dio è lenta. La sua misericordia infinita. Per noi è una notizia consolante quella di Domenico Megna. E dobbiamo mettere in pratica l’invito». Dice il parroco che aggiunge poc’altro, si affida al salmo di Davide, commenta il Vangelo di Marco. Misericordia e perdono.

Ecco il messaggio del boss di Papanice dal carcere. La tregua annunciata in modo singolare è una novità, secondo i rituali della ‘ndrangheta, almeno per le modalità scelte. Nella lettera il
boss specifica che non ha contatti con l’esterno, se non con la sua compagna. Come dire che nessun delitto è stato ordinato. Non si cerca vendetta. E nessuna donna, vestita di rosso, come pure è stato detto è arrivata in obitorio a riconoscere Luca. Il rosso è simbolo di vendetta. Loro, le donne Megna, dichiarano che non dovrà essere sparso altro sangue. Bisogna fermarsi. Lo ordina Mico, dal carcere, sottoposto al 41 bis, al carcere duro.

Il parroco della povera chiesa di Papanice, l’unica della frazione, spoglia di ornamenti, ma
punto nevralgico per la comunità, ricorda nell’omelia anche Gaia, la bimba di cinque anni
di Luca, che ha un proiettile conficcato in testa ed è in coma, da otto giorni. Vita sospesa ad un filo. Vittima innocente di una faida, che non conosce regole. Oggi i medici del’ospedale di Catanzaro dove la piccola è ricoverata decideranno se tentare l’intervento chirurgico.

A Papanice, dopo la liturgia, il silenzio regna sovrano. Ancora. Qualcuno bacia le donne della
famiglia. Da’ loro le condoglianze. Le sorelle, la moglie di Luca e la compagna di suo padre, senza lacrime, abbracciano tutti, pronunciano sottovoce la parola «grazie». La figura più imponente è quella di Rosita Megna è lei che ha ricevuto le forze dell’ordine il giorno del sequestro di auto e droga. È lei che, impassibile, ha aperto la porta di casa, senza fremere. Con orgoglio e determinazione.

Mai si è scomposta. «A nome di mio padre Domenico che ho incontrato in carcere rivolgo un appello affinché tutti sappiano che lui è disposto al perdono ed alla pace. Lo ha fatto nell’immediatezza della morte di mio fratello e ci ha invitati tutti a pregare per la bambina. Il suo desiderio di pace lo ha espresso al cappellano del carcere pregandolo di contattare il prete di Papanice perchè facesse conoscere questa sua dichiarazione a tutti», scrive Rosita Megna nella lettera. Il parroco, in chiesa non legge il documento dattiloscritto. Ma spiega che è l’ora del perdono.

Dopo poco accade un miracolo. I bambini a Papanice tornano per strada. Girano in bicicletta.
Lunedì saranno a scuola. Il quartiere respira, di nuovo. Va oltre la paura, che non è stata sconfitta dal presidio, ormai costante, delle forze dell’ordine, ma dalle poche parole di tregua che Mico Megna dal carcere ha affidato alle sue donne. E che loro hanno sottolineato e annunciato pubblicamente. Se non ancora bastasse, per la prima volta, un’altra donna,
Serafina, la seconda sorella di Luca, si lascia intervistare dalle telecamere.

E aggiunge:
«Mio padre è sconvolto dal dolore. Mio padre prega. Prega per Gaia che combatte tra la vita e la morte. E non vuole vendetta». Serafina è una donna magra, dai capelli chiari, gli occhi grandi e segnati, ma non persi. Il suo sguardo è deciso, quando parla, come tutte le donne della famiglia Megna. E poi aggiunge: «Mio padre vuole la pace. Vuole che si finisca qui. Ora è tempo di sperare che la piccola si salvi. Noi preghiamo. Ci affidiamo a Dio».

Dopo Luca Megna sono stati altri due gli omicidi. Tutti seguiti da una rapida successione,
quello di Pino Cavallo, compiuto sempre a Papanice, in pieno centro, probabilmente l’autista
del boss avversario dei Megna, Leo Russelli e poi c’è stato l’agguato contro Francesco Capicchiano, ucciso a Isola Capo Rizzuto. Omicidi, secondo gli investigatori, legati da un filo rosso. Omicidi di cui le donne dei Megna sanno. Nella lettera di Rosita, la donna specifica che
suo padre non ha usufruito di permessi ed è sottoposto al carcere duro. Significa che non ha ordinato agguati, se mai ce ne fosse stato bisogno. Anzi chiede perdono. Una tregua.

Tratto da: www.ilquotidianodellacalabria.it


Autore: Fausto

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